domenica 12 luglio 2015

tra peccato e virtù: le passioni

Se chiamiamo passioni gli affetti disordinati, 
come facevano gli Stoici, 
allora è chiaro che la virtù perfetta dev'essere senza passioni.

Ma se chiamiamo passioni tutti i moti dell'appetito sensitivo, 
allora è evidente che le virtù morali, aventi nelle passioni la loro materia, 
non possono esistere senza di esse. 

E la ragione si è che altrimenti la virtù morale 
renderebbe l'appetito sensitivo del tutto inerte. 

Ora, non è compito delle virtù privare dei loro atti 
le potenze sottoposte alla ragione: 
ma esse hanno piuttosto il compito di promuoverne l'esercizio 
per eseguire il comando della ragione.

Perciò, come la virtù ordina le membra del corpo agli atti esterni dovuti, 
così ordina l'appetito sensitivo ai moti rispettivi ben ordinati.
Invece le virtù morali che non riguardano le passioni, 
ma le operazioni (della volontà), possono anche essere senza passioni 
(tale è, p. es., la virtù della giustizia): 
poiché esse applicano la volontà al proprio atto, 
che non è una passione. 
Tuttavia l'atto della giustizia è seguito da una gioia, 
nella volontà almeno, che non è una passione. 

Ma se questa gioia aumenta, 
per un perfezionamento della giustizia, 
si avrà una ridondanza di gioia fino all'appetito sensitivo; 
in base alla dipendenza del moto delle facoltà inferiori 
da quello delle facoltà superiori, 
di cui abbiamo già parlato. 
E per codesta ridondanza, 
quanto più una virtù è perfetta, 
tanto più causa la passione.

La virtù vince le passioni disordinate: 
ma produce quelle ben regolate.
Le passioni portano al peccato se sono disordinate: 
non già se sono ben ordinate.

In ogni essere il bene va considerato 
secondo la condizione di quella data natura. 
Ora, in Dio e negli angeli non esiste, come nell'uomo, l'appetito sensitivo. 
Perciò il ben operare di Dio e degli angeli è del tutto senza passione, 
come è senza il concorso del corpo: 
invece il ben operare dell'uomo ha la compagnia delle passioni, 
come ha l'aiuto del corpo.

San Tommaso D'Aquino, Summa Teologica, I-II, q. 59, a.5


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