lunedì 27 febbraio 2017

è lecito il suicidio?


Sembra che sia lecito suicidarsi.

Infatti:

1. L'omicidio è un peccato perché è contrario alla giustizia. Ma nessuno può mancare di giustizia verso se stesso, come dimostra Aristotele [Ethic. 5, 11].
Quindi nessuno pecca uccidendo se stesso.

2. Chi detiene il potere ha la facoltà di uccidere i malfattori.
Ma talora chi detiene il potere è un malfattore.
Egli quindi è autorizzato a uccidere se stesso.

3. È lecito esporsi spontaneamente a un pericolo minore per evitarne uno più grave: come è lecito amputarsi un membro malato per salvare l'intero corpo.
Ora in certi casi uno, uccidendo se stesso, evita un male peggiore, cioè una vita di miseria, o la vergogna di un peccato.
Quindi il suicidio in certi casi è lecito.

4. Sansone, che nella Scrittura [Eb 11, 32] è ricordato fra i santi, uccise se stesso [Gdc 16, 30].
Quindi il suicidio può essere lecito.

5. Nella Scrittura [1 Mac 14, 41 ss.] si legge che Razis si uccise "preferendo morire nobilmente piuttosto che divenire schiavo degli empi e subire oltraggi indegni della sua nobiltà".
Ma ciò che si compie con nobiltà e coraggio non è illecito.
Quindi il suicidio non è illecito.

In contrario:

S. Agostino [De civ. Dei 1, 20] afferma: "Il precetto: "Non uccidere" va riferito all'uomo. Cioè non uccidere né gli altri né te stesso. Infatti chi uccide se stesso non fa altro che uccidere un uomo".


Rispondo:

Il suicidio è assolutamente illecito per tre motivi.

Primo, poiché per natura ogni essere ama se stesso; e ciò implica la tendenza innata a conservare se stessi e a resistere per quanto è possibile a quanto ci potrebbe distruggere.
Per cui l'uccisione di se stessi è contro l'inclinazione naturale, e contro la carità con la quale uno deve amare se stesso.
Per questo il suicidio è sempre un peccato mortale, essendo incompatibile con la legge naturale e con la carità.

Secondo, poiché la parte è essenzialmente qualcosa del tutto.
Ora, ciascun uomo è una parte della società, e quindi è essenzialmente della collettività.
Per cui uccidendosi fa un torto alla società, come insegna il Filosofo [Ethic. 5, 11].

Terzo, poiché la vita è un certo dono di Dio all'uomo, che rimane in potere di colui il quale "fa morire e fa vivere". Perciò chi priva se stesso della vita pecca contro Dio: come chi uccide uno schiavo pecca contro il suo padrone, e come pecca colui che si arroga il diritto di giudicare una causa che non gli è stata affidata. Infatti a Dio soltanto appartiene il giudizio sulla vita e sulla morte, secondo le parole della Scrittura [Dt 32, 39]: "Sono io che dò la morte e faccio vivere".


Soluzione delle difficoltà: 

1. L'omicidio è un peccato non solo perché è contrario alla giustizia, ma anche perché è contrario alla carità che uno deve a se stesso.

E da questo lato il suicidio è un peccato verso se stessi. Invece in rapporto alla società e a Dio esso ha natura di peccato anche perché è contrario alla giustizia.

2. Chi detiene i pubblici poteri ha la facoltà di uccidere i malfattori perché ha il compito di giudicarli. Ma nessuno è giudice di se stesso.

Quindi chi comanda non può uccidere se stesso per qualsivoglia peccato.
Tuttavia ha la facoltà di sottoporsi al giudizio di altri.

3. L'uomo viene costituito padrone di sé dal libero arbitrio.

Egli quindi può disporre di se stesso per le cose riguardanti la vita presente, che sono regolate dal libero arbitrio. Ma il passaggio da questa vita a un'altra più felice non dipende dal libero arbitrio dell'uomo, bensì dall'intervento di Dio.

Perciò all'uomo non è lecito uccidere se stesso per passare a una vita più felice.
E neppure per sfuggire a qualsiasi miseria della vita terrena. 

Poiché, come dice il Filosofo [Ethic. 3, 6], la morte "è l'ultimo e il più tremendo" tra i mali della vita presente: per cui darsi la morte per sfuggire alle altre miserie di questa vita equivale ad affrontare un male più grave per evitarne uno minore.

Parimenti non è lecito suicidarsi per un peccato commesso.
Sia perché in tal modo uno danneggia se stesso in maniera gravissima, privandosi del tempo necessario per fare penitenza, sia anche perché l'uccisione dei malfattori è rimessa al giudizio dei pubblici poteri.

E così pure non è lecito a una donna uccidersi per non essere violentata.
Poiché essa non deve commettere un delitto più grave verso se stessa, qual è appunto il suicidio, per evitare un delitto minore di un altro (infatti una donna violentata, quando manca il consenso, non commette peccato: poiché, come disse Santa Lucia [Leg. aur. 4, 1], "il corpo non rimane inquinato se non per il consenso dell'anima").

Ora, è evidente che la fornicazione o l'adulterio sono peccati meno gravi dell'omicidio: specialmente poi del suicidio, che è gravissimo, poiché così uno nuoce a se stesso, che è tenuto ad amare nel massimo grado.Inoltre è il peccato più pericoloso, poiché non lascia il tempo per l'espiazione.

Finalmente a nessuno è lecito uccidere se stesso per paura di acconsentire al peccato.
Come infatti dice S. Paolo [Rm 3, 8], "non si deve fare il male perché ne venga un bene", o per evitare il male, specialmente se si tratta di colpe minori e meno sicure.
Infatti uno non può essere sicuro che in seguito acconsentirà al male: poiché in qualsiasi tentazione il Signore può preservare l'uomo dal peccato.

4. Come spiega S. Agostino [De civ. Dei 1, 21], "Sansone non può essere scusato dall'aver seppellito se stesso assieme ai nemici distruggendo l'edificio se non per un comando segreto dello Spirito Santo, il quale faceva miracoli per mezzo suo". E allo stesso modo [ib., c. 26] egli giustifica la condotta di alcune sante donne, venerate dalla Chiesa, che durante la persecuzione si uccisero da se stesse.

5. È un atto di coraggio affrontare la morte inflitta da altri per il bene della virtù, e per evitare il peccato.
Invece dare la morte a se stessi per evitare delle sofferenze ha sì una certa parvenza di fortezza, per cui alcuni si uccisero pensando di agire coraggiosamente, e tra questi c'è appunto Razis, ma in realtà non si tratta di vero coraggio, bensì di una certa debolezza incapace di affrontare la sofferenza, come notano sia il Filosofo [Ethic. 3, 7] che S. Agostino [De civ. Dei 1, cc. 22, 23].

San Tommaso d'Aquino, Somma Teologica II-II, q. 64, a. 5

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