mercoledì 10 agosto 2016

principio della sapienza ... nella vecchiaia


3] Nella giovinezza non hai raccolto; 
come potresti procurarti qualcosa nella vecchiaia? 

[4] Come s'addice il giudicare ai capelli bianchi, 
e agli anziani intendersi di consigli! 

[5] Come s'addice la sapienza ai vecchi, 
il discernimento e il consiglio alle persone eminenti! 

[6] Corona dei vecchi è un'esperienza molteplice, 
loro vanto il timore del Signore. 

[7] Nove situazioni io ritengo felici nel mio cuore, 
la decima la dirò con le parole: 
un uomo allietato dai figli, 
chi vede da vivo la caduta dei suoi nemici; 

[8] felice chi vive con una moglie assennata, 
colui che non pecca con la sua lingua, 
chi non deve servire a uno indegno di lui; 

[9] fortunato chi ha trovato la prudenza, 
chi si rivolge a orecchi attenti; 

[10] quanto è grande chi ha trovato la sapienza, 
ma nessuno supera chi teme il Signore. 

Siracide 25, 3-10
http://www.vatican.va/archive/ITA0001/__PLS.HTM

lunedì 8 agosto 2016

la luce e l'intelligenza

Il problema centrale del Nuovo Saggio sull'origine delle idee è la questione del rapporto tra intelligenza e verità: quali sono le capacità e i limiti dell'intelligenza umana? Che cosa si deve intendere quando si parla di verità? Che cos'è il pensiero e che cosa esattamente produce? 

La convinzione di fondo di Rosmini è che il pensiero moderno abbia complessivamente perduto, rispetto alla tradizione classica e medievale, il significato autentico di che cosa significa pensare. 

Quello che soprattutto Rosmini imputa a gran parte della filosofia moderna è di non aver capito che il «sentire» e il «pensare», per quanto strettamente connessi tra loro, sono processi del tutto diversi e non possono essere ridotti l'uno all'altro. 

Secondo Rosmini, un'attenta analisi della pura e semplice esperienza sensoriale mostra chiaramente che la dinamica della sensazione è essenzialmente egocentrica: la sensazione è sempre una «mia» modificazione; in ogni cosa sentita io sento sempre «me stesso» modificato da una qualche realtà esterna. L'intelligenza invece non è un processo in cui io vengo modificato da qualcosa che viene a me, è viceversa una specie di movimento in cui io esco da me stesso per aprirmi a ciò che rimane «altro» da me. 

Ecco come Rosmini definisce la differenza tra il sentire e il conoscere intellettivo: «Sentire [...] è unire, immedesimare con sé; conoscere è separare, distinguer da sé: sentire suppone vari stati d'un soggetto identificati per l'identità del soggetto; conoscere suppone diversità assoluta del soggetto stesso conoscente dalla cosa cognita» (Principi di scienza morale, p. 95, nota 6). 

Nell'atto conoscitivo dell'intelligenza la persona opera un decentramento da sé, lascia spazio a ciò che vuole conoscere, percepisce l'oggetto nel modo di «essere» che è proprio dell'oggetto stesso. 

Pensare significa cogliere la realtà nella dimensione dell'«essere». È appunto questa presenza alla mente della dimensione dell'«essere» che Rosmini chiama «idea dell'essere». 

L'idea dell'essere è il segreto dell'intelligenza in quanto facoltà rispettosa dell'alterità di ciò che viene conosciuto. Come afferma Rosmini: «l'idea dell'essere è quella che costituisce la possibilità che abbiamo d'uscir di noi [...] cioè di pensare a cose da noi diverse» (Nuovo saggio, III, n. 1081, p. 47). 

L'idea dell'essere è, per l'intelligenza umana, quello che la luce è per la vista. Come, per vedere fisicamente un oggetto, è necessario coglierlo nella luce e, se non c'è la luce, l'occhio non può produrre da sé nessuna visione, così per conoscere con l'intelligenza un oggetto è necessario coglierlo nell'idea (o nell'orizzonte) dell'essere, e se non c'è tale idea l'intelligenza non ha alcuna conoscenza. 

L'esercizio dell'intelligenza è possibile grazie alla «luce dell'essere», una luce discreta e non invadente, di cui noi facciamo uso senza nemmeno accorgercene, allo stesso modo in cui la luce fisica rende possibile la vista delle cose senza che normalmente si badi ad essa. Come afferma Rosmini: «l'uomo non può pensare a nulla senza l'idea dell'essere [...]. 

Si può definire l'intelligenza nostra la facoltà di veder l'essere [...]. Toltaci la vista dell'essere, l'intelligenza nostra è pur tolta» (Nuovo saggio, II, n. 411 e 545, pp. 27, 122). Molta parte dello sforzo filosofico di Rosmini sarà dedicato a chiarire le numerose questioni relative all'origine e alla natura dell'idea dell'essere. Di essa Rosmini cercherà di definire e spiegare le principali caratteristiche: oggettività, semplicità, unità, universalità, necessità, immutabilità, eternità, innatezza. 

L'idea dell'essere, per questi suoi caratteri, è un'apertura sull'assoluto e sull'eterno: essa è «il divino» nell'uomo, ma non va in nessun modo confusa con l'idea piena di Dio, la quale rimane al di là delle umane capacità conoscitive. 

M. DOSSI, Il santo proibito. Il Margine, Trento 2007, pp. 62-72
http://www.casanatalerosmini.it/pagina/?/antonio_rosmini/il_pensiero/idea_essere/

domenica 7 agosto 2016

vado e tornerò


"Non sia turbato il vostro cuore. 
Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 
Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. 

Se no, ve l'avrei detto. 

Io vado a prepararvi un posto; 
quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, 
ritornerò e vi prenderò con me, 
perché siate anche voi dove sono io. 

E del luogo dove io vado, voi conoscete la via". 

Gli disse Tommaso: 
"Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?". 

Gli disse Gesù: 
"Io sono la via, la verità e la vita. 

Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 
Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: 
fin da ora lo conoscete e lo avete veduto". 

Gli disse Filippo: 
"Signore, mostraci il Padre e ci basta". 

Gli rispose Gesù: 
"Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? 
Chi ha visto me ha visto il Padre. 

Come puoi dire: Mostraci il Padre? 
Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? 
Le parole che io vi dico, non le dico da me; 
ma il Padre che è con me compie le sue opere. 

Credetemi: 
io sono nel Padre e il Padre è in me; 
se non altro, credetelo per le opere stesse. 

In verità, in verità vi dico: 
anche chi crede in me, compirà le opere che io compio 
e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. 

Qualunque cosa chiederete nel nome mio, 
la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. 
Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò. 
Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. 

Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore 
perché rimanga con voi per sempre, 
lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, 
perché non lo vede e non lo conosce. 

Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. 

Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. 
Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; 
voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 

In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. 
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. 
Chi mi ama sarà amato dal Padre mio 
e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui". 

Gli disse Giuda, non l'Iscariota: 
"Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?". 

Gli rispose Gesù: 
"Se uno mi ama, osserverà la mia parola 
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui 
e prenderemo dimora presso di lui. 

Chi non mi ama non osserva le mie parole; 
la parola che voi ascoltate non è mia, 
ma del Padre che mi ha mandato. 
Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. 

Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, 
egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 

Vi lascio la pace, vi do la mia pace. 
Non come la dà il mondo, io la do a voi. 
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 

Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; 
se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, 
perché il Padre è più grande di me. 

Ve l'ho detto adesso, prima che avvenga, 
perché quando avverrà, voi crediate. 

Non parlerò più a lungo con voi, 
perché viene il principe del mondo; 
egli non ha nessun potere su di me, 
ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre 
e faccio quello che il Padre mi ha comandato. 

Alzatevi, andiamo via di qui".

Vangelo di Giovanni 14, 1-31
http://www.vatican.va/archive/ITA0001/__PVY.HTM

giovedì 4 agosto 2016

da figlio, da fratello, da amico, da sposo, da padre ... ti benedico


I sacramentali 
[...] sono istituiti dalla Chiesa per la santificazione 
di alcuni ministeri ecclesiastici, di alcuni stati di vita, 
di circostanze molto varie della vita cristiana, 
così come dell'uso di cose utili all'uomo. 

Secondo le decisioni pastorali dei Vescovi, 
possono anche rispondere ai bisogni, 
alla cultura e alla storia propri del popolo cristiano 
di una regione o di un'epoca. 

Comportano sempre una preghiera, 
spesso accompagnata da un determinato segno, 
come l'imposizione della mano, 
il segno della croce, 
l'aspersione con l'acqua benedetta 
(che richiama il Battesimo).

Essi derivano dal sacerdozio battesimale: 
ogni battezzato è chiamato ad essere una benedizione e a benedire. 
Per questo anche i laici possono presiedere alcune benedizioni; 
più una benedizione riguarda la vita ecclesiale e sacramentale, 
più la sua presidenza è riservata al ministro ordinato 
(Vescovo, presbiteri o diaconi).

I sacramentali non conferiscono 
la grazia dello Spirito Santo 
alla maniera dei sacramenti; 
però mediante la preghiera della Chiesa 
preparano a ricevere la grazia e dispongono a cooperare con essa. 

« Ai fedeli ben disposti è dato di santificare 
quasi tutti gli avvenimenti della vita 
per mezzo della grazia divina che fluisce 
dal mistero pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo, 
mistero dal quale derivano la loro efficacia 
tutti i sacramenti e i sacramentali; 
e così ogni uso onesto delle cose materiali 
può essere indirizzato alla santificazione dell'uomo e alla lode di Dio ».


CCC, Parte II, Sez. II, Cap.4,  a.1 (1668-1670)
http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p2s2c4a1_it.htm

mercoledì 3 agosto 2016

la prova del fuoco

Il beato Francesco, per testimoniare la fede di Cristo, volle entrare in un gran fuoco con i sacerdoti del Sultano di Babilonia. Però nessuno di essi volle entrare con lui ma tutti fuggirono subito dalla presenza del Santo e del Sultano. Legenda Maior IX,8

Nel 1219 Francesco realizzò finalmente un suo ardente desiderio: predicare la fede cristiana ai musulmani. Questo evento viene narrato nel nono capitolo della Legenda Maior, dove Bonaventura parla della carità che spingeva Francesco a voler annunciare il vangelo a tutti gli uomini, e dell’attrazione che il santo provava davanti alla possibilità del martirio. La funzione di questo episodio è infatti quella di associare Francesco al grado più alto della santità cristiana, quello dei martiri, dimostrando la completa disponibilità del Poverello a morire per Cristo.

Raggiungendo l’esercito crociato a Acri e poi a Damiata, Francesco ottenne dal legato pontificio di potersi recare, al suo rischio e responsabilità, dal principe musulmano, il sultano Melek-el-Kamel. Questi “lo ascoltò volentieri e lo pregava vivamente di restare presso di lui”, ma esitò ad accettare l’invito a convertirsi con tutto il suo popolo. Allora Francesco gli chiese di far accendere “un fuoco il più grande possibile”, e disse: “Io con i tuoi sacerdoti entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa”. Ma il sultano gli rispose: “Non credo che qualcuno dei miei sacerdoti abbia voglia di esporsi al fuoco o di affrontare la tortura per difendere la sua fede”, e Bonaventura a questo punto soggiunge che il sultano infatti “si era visto…scomparire immediatamente sotto gli occhi, uno dei suoi sacerdoti, famoso e d’età avanzata, appena udite le parole della sfida”. Francesco allora offrì di entrare nel fuoco da solo, se il sultano avrebbe promesso di convertirsi nel caso il santo ne uscisse illeso.

Questo è il momento che Giotto illustra: Francesco al centro che indica sia il fuoco che se stesso, mentre a sinistra i sacerdoti musulmani si dileguano e, a destra, il sultano, rifiutando l’offerta di Francesco di entrare nel fuoco solo, a sua volta gli offre “molti doni preziosi…per distribuirli ai cristiani poveri e alle chiese, a salvezza dell’anima sua”. Il santo però, “poiché voleva restare libero dal peso del denaro”, non accettò. Anche in questo affresco, come ne La rinuncia agli averi, Giotto spacca la composizione dall’alto verso il basso, con il sultano e la sua corte a destra e Francesco a sinistra. Alla radice dell’incolmabile distanza tra questi due mondi vi è poi sempre il denaro, perché mentre Francesco è pronto a dare la vita, il sultano non offre che “molti doni preziosi”.

http://www.sanfrancescopatronoditalia.it/notizie/cultura/
san-francesco-e-il-sultano-la-prova-del-fuoco-
-di-timothy-verdon-30589#.V6GgI7iLTIU

lunedì 1 agosto 2016

prima la persona, poi il mistero


I suoi discepoli andarono a prendere il cadavere, 
lo seppellirono e andarono a informarne Gesù. 

Udito ciò, Gesù partì di là su una barca 
e si ritirò in disparte in un luogo deserto. 

Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. 

Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla 
e sentì compassione per loro e guarì i loro malati. 

Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: 
"Il luogo è deserto ed è ormai tardi; 
congeda la folla perché vada nei villaggi 
a comprarsi da mangiare". 

Ma Gesù rispose: 
"Non occorre che vadano; 
date loro voi stessi da mangiare". 

Gli risposero: 
"Non abbiamo che cinque pani e due pesci!". 

Ed egli disse: "Portatemeli qua". 

E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, 
prese i cinque pani e i due pesci e, 
alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, 
spezzò i pani e li diede ai discepoli 
e i discepoli li distribuirono alla folla. 

Tutti mangiarono e furono saziati; 
e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. 

Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, 
senza contare le donne e i bambini. 

Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca 
e di precederlo sull'altra sponda, 
mentre egli avrebbe congedato la folla. 

Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. 
Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. 

La barca intanto distava già qualche miglio da terra 
ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. 

Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. 

I discepoli, a vederlo camminare sul mare, 
furono turbati e dissero: 
"È un fantasma" e si misero a gridare dalla paura. 

Ma subito Gesù parlò loro: 
"Coraggio, sono io, non abbiate paura". 

Pietro gli disse: 
"Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque". 

Ed egli disse: 
"Vieni!". Pietro, scendendo dalla barca, 
si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 

Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, 
cominciando ad affondare, gridò: "Signore, salvami!". 

E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: 
"Uomo di poca fede, perché hai dubitato?". 

Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 

Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, 
esclamando: 
"Tu sei veramente il Figlio di Dio!". 

Compiuta la traversata, approdarono a Genèsaret. 

E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, 
diffuse la notizia in tutta la regione; 
gli portarono tutti i malati, 

e lo pregavano di poter toccare almeno l'orlo del suo mantello. 
E quanti lo toccavano guarivano.

Vangelo di Matteo 14, 12-36
http://www.vatican.va/archive/ITA0001/__PU2.HTM