lunedì 18 settembre 2017

un abito naturale per la coscienza


La sinderesi non è una potenza, ma un abito: 
benché alcuni l’abbiano ritenuta 
per una potenza più alta della ragione; 

ed altri l’abbiano identificata con la ragione, 
non in quanto è ragione, ma in quanto è natura. 

- Per averne l’evidenza dobbiamo considerare, 
e si è già detto sopra, 
che il raziocinio umano, essendo una specie di moto, 
parte dalla conoscenza di alcune verità, 
che sono note per natura senza il lavoro investigativo della ragione, 
come da un principio immobile; 


così pure ha il suo termine in qualche cosa di intuitivo, 
per il fatto che giudichiamo delle cose conosciute attraverso il raziocinio, 
alla luce dei principii evidenti per natura.

Ora è chiaro che, come l’intelletto speculativo ragiona delle cose speculative, 
così l’intelletto pratico tratta delle cose operabili. 

È dunque necessario che siano insiti in noi per natura 
non solo i principii di ordine speculativo, 
ma anche quelli di ordine pratico.

Ora, i primi principii della vita speculativa, insiti in noi per natura, 
non appartengono a una speciale potenza, 
ma a un particolare abito chiamato da Aristotele "intelletto dei principii". 

Dunque neppure i principii della vita pratica, insiti in noi per natura, 
appartengono a una speciale potenza, 
ma a uno speciale abito naturale chiamato sinderesi. 


Perciò si dice che la sinderesi spinge al bene e mormora del male, 
perché mediante i primi principii noi procediamo 
nell’indagine [del bene da compiere] 
e giudichiamo dei risultati. 

È dunque evidente che la sinderesi non è una potenza, 
ma un abito naturale.

San Tommaso d'Aquino, S. T. , I, q. 79, a. 12

domenica 3 settembre 2017

La Legge della divina carità

"E’evidente che non tutti possono dedicarsi a fondo alla scienza; e perciò Cristo ha emanato una legge breve e incisiva che tutti possano cono­scere e dalla cui osservanza. nessuno per ignoranza possa ritenersi scusato. E questa è la legge della divina carità. Ad essa accenna l’Apostolo con quelle parole: “Il Signore pronunzierà sulla terra una parola breve” (Rm 9, 28).

Questa legge deve costituire la norma di tutti gli atti umani. Come infatti vediamo nelle cose artificiali che ogni lavoro si dice buono e retto se viene compiuto secondo le dovute regole, così anche si riconosce come retta e virtuosa la azione dell’uomo, quando essa è conforme alla re­gola della divina carità. Quando invece è in con­trasto con questa norma, non è né buona, né retta, né perfetta.

Questa legge dell’amore divino produce nel­l’uomo quattro effetti molto desiderabili. In primo luogo genera in lui la vita spirituale. E’ noto in­fatti che per sua natura l’amato è nell’amante. E perciò chi ama Dio, lo possiede in sé medesimo: “Chi sta nell’amore sta in Dio e Dio sta in lui” (1 Gv 4, 16). E’ pure la legge dell’amore, che l’aman­te venga trasformato nell’amato. Se amiamo il Si­gnore, diventiamo anche noi divini: “Chi si unisce al Signore, diventa un solo spirito con lui ” (1 Cor 6, 17). A detta di sant’Agostino, “come l’anima è la vita del corpo, così Dio è la vita dell’anima ”. L’anima perciò agisce in maniera virtuosa e per­fetta quando opera per mezzo della carità, me­diante la quale Dio dimora in essa. Senza la carità, in verità l’anima non agisce: “Chi non ama rimane nella morte” (1 Gv 3, 14). Se perciò qualcuno pos­sedesse tutti i doni dello Spirito Santo, ma non avesse la carità, non avrebbe in sé la vita. Si tratti pure del dono delle lingue o del dono della fede o di qualsiasi altro dono: senza la carità essi non conferiscono la vita. Come avviene di un cadavere rivestito di oggetti d’oro o di pietre preziose: resta sempre un corpo senza vita.

Secondo effetto della carità è promuovere la osservanza dei comandamenti divini: “L’amore di Dio non è mai ozioso — dice san Gregorio Magno —quando c’è, produce grandi cose; se si rifiuta di essere fattivo, non è vero amore”. Vediamo infatti che l’amante intraprende cose grandi e difficili per 1’amato: “Se uno mi ama osserva la mia parola”(Gv 14, 25). Chi dunque osserva il comandamento e la legge dell’amore divino, adempie tutta la legge.

Il terzo effetto della carità è di costituire un aiuto contro le avversità. Chi possiede la carità non sarà danneggiato da alcuna avversità: “Ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio ”(Rm 8, 28); anzi è dato di esperienza che anche le cose avverse e difficili appaiono soavi a colui che ama.

Il quarto effetto della carità è di condurre alla felicità. La felicità eterna è promessa infatti soltanto a coloro che possiedono la carità, senza la quale tutte le altre cose sono insufficienti. Ed è da tenere ben presente che solo secondo il diverso grado di carità posseduto si misura il diverso grado di felicità, e non secondo qualche altra virtù. Molti infatti furono più mortificati degli Apostoli; ma questi sorpassano nella beatitudine tutti gli altri proprio per il possesso di un più eccellente grado di carità. E così si vede come la carità ot­tenga in noi questo quadruplice risultato.

Ma essa produce anche altri effetti che non vanno dimenticati: quali, la remissione dei peccati, l’illuminazione del cuore, la gioia perfetta, la pace, la libertà dei figli di Dio e l’amicizia con Dio."



Dagli “Opuscoli teologici ” di san Tommaso d’Aquino, sacerdote; in Opuscula theologica, II, nn. 1137-1154, ed. Marietti, 1954.

Preparato dalla Pontificia Università Urbaniana,
con la collaborazione degli Istituti Missionari 

http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20010116_thomas-aquinas_it.html