domenica 25 gennaio 2015

con la forza di Dio...nulla è impossibile


"I demòni sono così numerosi che se potessero assumere la forma 
di una granello di sabbia, oscurerebbero il sole! Sono tantissimi...
...ma gli angeli sono immensamente più numerosi, non c’è dubbio".
(Padre Gabriele Amorth)

"Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio 
in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 
a una vergine, promessa sposa di un uomo 
della casa di Davide, chiamato Giuseppe. 
La vergine si chiamava Maria. 
Entrando da lei, disse: 
Ti saluto, o piena di grazia, 
il Signore è con te". 
 
 Maria si spaventa alla vista dell’angelo, 
che le ha chiarito fin dal principio che veniva da parte di Dio. 
E Dio, per mezzo di Gabriele, 
le dice le belle parole dell’Ave Maria, 
poi continua dicendo: 

"Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 
Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 
Sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo; 
il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre 
e regnerà per sempre nella casa di Giacobbe 
e il suo regno non avrà fine".

 Poi l’angelo le spiega 
il concepimento miracoloso di Gesù: 

"Lo Spirito Santo scenderà su di te, 
su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. 
Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato figlio di Dio. 
Vedi: Anche Elisabetta tua parente, 
nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio 
e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 
nulla è impossibile a Dio. 
Allora Maria disse: 
eccomi, sono la serva del Signore, 
avvenga di me quello che hai detto. 
E l’angelo partì da lei".


Per quell'ammirabile benignità onde voi, 
o glorioso arcangelo San Gabriele, 
dissipaste tutti i timori che agitavano il cuore di Maria 
quando si sentì da voi annunciare per madre, 
sgombrate vi prego, 
la mia mente da tutte le illusioni 
con cui il principe delle tenebre si sforza di impedire 
la cognizione chiara e precisa delle verità 
che tornano indispensabili 
al conseguimento della salute.

 Passi tratti da Lc 1, 26-38
www.angelibuoni.it/angeli/Arcangelo_Gabriele.htm

martedì 20 gennaio 2015

riflettere sul Corano e lodare il sommo Bene


Per capire il significato storico, giuridico, teologico, religioso e culturale del Corano è conveniente lasciar parlare il testo stesso. Un bel numero di sure (i capitoli in cui il libro del Corano si divide, sono ben 114) lo presenta come il libro sacro che viene da Dio (cf. sure 3,4.7; 4,82; 6,114.155-157; 7,2; 18,1; 20,2-4; 21,50; 29,46-49; 32,2; 38,1-8; 40,2; 41,2.41-42; 42,17; 45,2; 46,2). In alcuni passi, poi, il sacro testo del Corano viene presentato come la “Madre del Libro”, cioè il prototipo (o meglio, in arabo, matrice) del Corano che è già presso Dio, quasi una sorta di Parola eterna che viene da Dio, l’Unico (cf. sure 13,39; 43,4; 56,77-78; 80,13-16; 85,21-22). Addirittura, si trovava già nei libri sacri degli antichi (cf. sura 26,196). Esso, infatti, conferma i libri precedenti, cioè l’AT e il NT (cf. sure 10,37; 12,111; 16,44).

Il Corano stesso, poi, offre altri elementi per descrivere il valore unico e sacro di questo testo che non appare rivelato o ispirato da Dio, bensì consegnato direttamente al profeta Maometto. È bene chiarire questo dato fin dall’inizio: nella visione islamica, non si parla di ispirazione né si riconosce l’autore umano, né si riduce il testo sacro a un’opera letteraria che è in qualche modo legata al genio dell’autore umano, all’artista-poeta o scrittore. Maometto, il sigillo dei profeti, lo ha ricevuto e trasmesso attraverso la recitazione orale e un processo di memorizzazione costante. Perciò, il Corano è, per eccellenza, “il Libro” composto da versetti sapienti e chiari (cf. sura 11,1) e fu rivelato per mezzo dell’angelo Gabriele (cf. sure 2,97; 26,210-211; 53,4-12). Non è inventato da Maometto né da altri (cf. sure 10,37; 11,13.35; 16,103; 25,4; 32,3; 46,8; 69,44-47). Anzi, Maometto, il lodato e bene amato, non ha mai recitato né copiato alcun altro libro religioso o considerato divino (cf. sura 29,48).

Per il suo carattere sacro, non è possibile che alcun essere umano cambi qualche parola o significato del Corano stesso (cf. sure 10,15; 18,27). Questo testo sacro svolge un ruolo fondamentale nella conoscenza di Dio, nella pratica del culto e nell'atteggiamento pratico del fedele musulmano. Infatti, il Corano non solo è luce e libro chiarissimo (cf. sure 5,15; 11,1; 12,1; 15,1; 26,2; 27,1; 28,2; 31,2; 45,20), e ancora sublime e glorioso (cf. sure 15,87; 50,1), ma è anche il criterio del bene e del male (cf. sure 3,4; 25,1), ed è la guida di Dio (cf. sure 7,203; 39,23). Per questo, il Corano contiene vari argomenti e ogni sorta di esempi affinché gli uomini se ne servano per la riflessione (cf. sura 17,41.89). Addirittura, il sacro Corano contiene tutti i segreti del cielo e della terra (cf. sura 27,75) ed è donato al credente per la recitazione e la sua memorizzazione (cf. sure 7.204; 16,198; 39,23; 73,4.20). La recitazione permette al credente di rifugiarsi in Dio e il suo ascolto intenerisce la pelle e il cuore al ricordo stesso di Dio. La recitazione esprime l’essenza del Corano e rinvia all'ascolto profondo della Parola divina. I musulmani affermano con insistenza il carattere sacro del Corano appellandosi alla bellezza dello stile e ai suoni che ne derivano dalla recitazione in arabo classico o antico.

Da queste semplici testimonianze del Corano ex-sese si comprende che accostarsi a questo testo sacro è possibile solamente accogliendo quella visione culturale e religiosa che è propria della cultura araba classica e poi della nascita dello stesso islam. Oggi è poco praticata, ad esempio, un’esegesi coranica più attenta al dato storico-critico e al senso letterale del testo. Anche se alcuni riformatori dell’islâm auspicano un tipo di studio esegetico sensibile ai contesti storico-culturali del tempo e alle analisi narrative del testo. Ciò per favorire un dialogo più proficuo e allo stesso tempo sereno con la modernità e con le scienze della filologia e dell’antropologia. Come pure per superare leggi e decreti che oggi non hanno più motivo d’essere rispetto alla società beduina che è alle origini dell’islâm e, perciò, dello stesso Corano. A volte, infatti, alcune interpretazioni fondamentaliste e fuori tempo del Corano dipendono da un certo irrigidimento di prospettive normative del testo sacro o di analisi lessicografiche per niente integrate con il contesto storico-culturale e socio-politico, nonché etico-religioso, in cui un detto, una sura, un passo del Corano è stato formulato.

[...]

Così recita la sura aprente che costituisce anche la preghiera più solenne dell’islâm, nonché segno d’invocazione inaugurale e di benedizione:

«Nel nome di Dio clemente e misericordioso. Lode a Dio, Signore dei mondi, il clemente, il misericordioso, sovrano del giorno del giudizio. Te adoriamo, te invochiamo in soccorso, guidaci al retto sentiero, al sentiero di coloro a cui tu hai largito la tua grazia, non di coloro che sono incorsi nella tua ira né di coloro che sono fuorviati» (1,1-7).

Un detto del Profeta appella il Corano con il titolo di “banchetto di Dio” e l’islâm come la “tenda di Dio”. Il banchetto e la tenda sono per tutti gli uomini: il Corano ci dice che Dio vuole parlare con gli uomini, ma nessuno è obbligato a rispondere. In tal senso, il Corano s’apre con una sura a carattere cosmico, l’Aprente, e si chiude con una sura a carattere antropologico, gli Uomini. Mentre l’Aprente (al-Fâtiḥa) è una resa di grazie al Signore dell’universo e una richiesta di guida per tutti gli uomini, l’ultima sura, gli Uomini (an-Nâs), afferma che Dio è l’unico e vero rifugio del credente. L’Aprente ci ricorda della lode e della gratitudine dovute a Dio per i suoi attributi d’infinita bontà e misericordia che contano molto di più nel giorno del giudizio. Dio è colui che ha potere su tutte le cose (cf. 19,96). Perché è l’Onnipotente. I fedeli, quindi, devono temerlo. Allâh è con chi lo teme. Tramite il timore di Dio, le azioni e le forze dei musulmani sono rivolte completamente ad Allâh. Da qui il senso dell’unicità e unità di Dio (tawḥîd). La parola “unico” ricorda ai musulmani che i loro cuori devono essere consacrati all’unico Dio che non ha posto nel corpo di nessun uomo due cuori (cf. 33,4). Dio è assoluto e, quindi, la devozione a lui dev’essere totalmente sincera. Allâh non ha associati.

L’immagine di Dio nel Corano è innanzitutto quella della luce e della speranza. È Dio che ha insegnato al Profeta la sapienza e la parola, e annuncia di essere lui stesso colui che la spiegherà. Dice Dio nel Corano: «Muḥammad, non muovere la lingua con essa per affrettarti. Certo a noi riunirlo e recitarlo. Seguine la recitazione quando noi lo recitiamo, poi spetta a noi spiegarlo» (75,16-20).

Il contenuto della dottrina coranica riguarda essenzialmente il Dio unico: Allâh. Questi è il Dio supremo in senso monoteistico. Si è già accennato, a proposito delle tappe rivelative di Maometto, dei caratteri fondamentali della divinità: la bontà-misericordia (la clemenza) e l’onnipotenza. La bontà di Dio è rapportata alla sua funzione di Creatore: egli conosce la nostra debolezza strutturale, ontologica. L’uomo è debole, fragile, perché tende a moltiplicarsi, a frantumarsi: perché il suo essere è diviso. L’originaria creazione del mondo non è rappresentata con particolari, né Adamo è inserito all’interno dei sei giorni biblici della creazione divina.

Una descrizione più dettagliata della creazione è presente in 41,9-12: mai, però, in modo sistematico e continuativo. Adamo è stato creato dalla terra, da un grumo di sangue (cf. 3,59). Dio crea per libera decisione, per volontà (cf. 40,68). Importante è il riferimento all’azione creatrice permanente di Dio: rivela la sua onnipotenza. Dio, poi, agisce anche attraverso le azioni umane (cf. 8,17); lo stesso potere umano, la volontà, è nelle mani d’Allâh (cf. 37,96; 76,30). Queste affermazioni, tuttavia, non permettono di elaborare un piano teologico o antropologico esaustivo e sistematico: perché concezioni diverse appaiono nel Corano. L’uomo, infatti, è libero e pure non lo è: Allâh lo guida se egli si lascia guidare, però lo porta anche dove vuole. Allâh, infatti, non guida coloro che non vogliono credere ai segni (cf. 16,104). Ci sono verità complementari nel Corano a proposito della responsabilità dell’uomo dinanzi a Dio e dell’onnipotenza divina. Il senso di azioni predestinate è tipico della mentalità beduina pre-islamica. Allâh è colui che governa direttamente il mondo e non mediante cause secondo. Gli stessi fenomeni naturali e quelli dovuti all’attività dell’uomo diventano tutti segni d’Allâh.

Alla domanda “Chi è Dio veramente?”, si può rispondere con la sura 2,21-22.163:

«O uomini! Adorate il vostro Signore che ha creato voi e quelli che furono prima di voi, e così forse diventerete timorati di Dio. È lui che vi ha fatto della terra un tappeto e del cielo una volta; è lui che dal cielo fa scendere l’acqua per far nascere dalla terra i frutti che vi sostentano. Non adorate dunque altri dèi insieme a lui, voi che conoscete la verità! […]. Il vostro Dio è un Dio unico. Non c’è divinità all’infuori di lui, il Clemente, il Misericordioso».


In 3,18 è ribadita l’unicità di Dio:

«Dio stesso è testimone che non c’è divinità all’infuori di lui, e ne sono testimoni anche gli angeli e chi possiede la vera scienza. Essi dicono: “Dio governa con giustizia. Non c’è divinità all’infuori di lui, il Potente, il Saggio!”».

Allâh è il Dio unico che si eleva al di sopra degli altri idoli. Qui il monoteismo coranico riprende quello ebraico e si spinge più avanti, in polemica con la visione cristiana di Dio. Non vi è la possibilità di riconoscere in Allâh una funzione procreativa, o di paternità. Il tema delle figlie d’Allâh (banât Allâh) permette di scagliarsi contro gli idolatri meccani per negare con la stessa alterigia disdegnosa che egli abbia potuto avere figli. Il medesimo nome d’Allâh rende inammissibile il plurale “divinità” (âliha), salvo che per stigmatizzare l’inanità degli dèi che i pagani o gli oppositori s’ostinano a invocare. La sura del “culto sincero”, nominata anche “dell’Eterno” o “dell’Unità divina”, rafforza il mistero dell’unicità di Dio. La tradizione dichiara di essere stata rivelata in risposta a una domanda di alcuni ebrei sulla natura divina. Il contenuto è decisamente antitrinitario: «Di’: “Egli Dio, è uno! Dio, l’Eterno! Non generò né fu generato, e nessuno gli è pari!» (112,1-4).

Il senso del verbo “generare” è “fisico”, “carnale”, come risulta chiaro anche dalla sura 6,100-102. C’è un modo errato d’intendere la paternità divina e la filiazione. Di là del problema strettamente dialogico, ci preme sottolineare il senso dell’unicità divina (tawḥîd) nell’islâm, visto che la sura 112 è un po’ il cuore della dottrina coranica. I musulmani la definiscono come la sura “della purezza” o anche “della fede pura”. È ritenuta rivelata alla Mecca ed è ventiduesima nell’ordine cronologico. Il suo nome âl-îkhlâṣ deriva dal radicale kh-l-ṣ e riprende il verbo di prima forma khalaṣa: “essere sincero”, “puro”, “leale”, “fedele”. La professione di fede monoteista è una scienza: la sincerità ne è la base e la fedeltà, invece, ne costituisce la condizione. In effetti, la fede in Allâh come “Dio unico e uno” è il primo articolo della professione di fede islamica (la šahâda). Dio appare, così, come la somma grandezza cosmica e non può essere colto da nessuna speculazione filosofica o teologica. Egli è unico nella sua essenza: non si divide, né si moltiplica. Per cui, nulla e nessuno gli può essere pari. Egli stabilisce il corso della vita e delle cose nel mondo: in lui si fondono vita e potenza, unità e unicità. Non essendo generato, non è nemmeno mortale, né debole. Egli regna di eternità in eternità e fa tramontare e di nuovo rinascere. Allâh è infinitamente perfetto perché possiede in misura piena tutte le buone qualità. È immutabile, giusto, saggio, amorevole, onnipresente, onnisciente, onnipotente, veritiero in sommo grado. È l’unico ideale infallibile, che non delude alcun uomo e non arreca tormenti all’anima. Allâh non assomiglia né alla natura viva né a quella morta. Né l’occhio né la mente lo possono cogliere. Tuttavia, all’uomo è più vicino delle arterie (cf. 50,15).

Il Corano riporta i 99 bei nomi di Dio che sono propriamente le sue qualità: un solo nome non permetterebbe di cogliere la sua potenza né l’essenza. Allâh agisce secondo il principio della giustizia. S’afferma, perciò, un rigido monoteismo a sfondo etico: Dio ripaga secondo le proprie azioni. Un simbolo con cui il Corano presenta il mistero d’Allâh è quello della luce. Dio è luce del cielo e della terra (cf. 24,35): chi ha fede tende a questa luce cosmica, e rivestirsi delle qualità divine significa rendersi degno rappresentante di Dio sulla terra. L’unicità di Dio ha degli effetti molto pratici sul credente: esige l’abbandono, la fiducia in lui. Il senso della vita, secondo la dottrina islamica, consiste nell’avvicinare quanto più possibile la perfezione relativa dell’uomo alla perfezione assoluta di Dio. In virtù della sua unicità, Allâh non subisce le nostre azioni. Il tema del pathos, tipicamente biblico, è assente dal Corano. Non si conosce neanche il fine ultimo della creazione. Si sa che Dio ha creato senza stancarsi (cf. 10,3; 20,5), e ha voluto gli uomini e gli jinn per la sua lode (cf. 51,56). Continua, inoltre, a creare cose nuove (cf. 16,8; 35,1; 55,29), ed è perfetto nelle sue opere (cf. 67,3). I caratteri più importanti di Dio riguardano la sua onnipotenza, onniscienza e misericordia.
  
Prof. Edoardo Scognamiglio
Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Napoli
http://www.centrostudifrancescani.it/site/2009/10/il-sacro-testo-del-corano-storia-esegesi-e-teologia/

venerdì 16 gennaio 2015

un Dio geloso ... non abbiate timore

Dio allora pronunciò tutte queste parole:

"Io sono il Signore, tuo Dio,
che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto,
dalla condizione di schiavitù:

non avrai altri dei di fronte a me.

Non ti farai idolo né immagine alcuna
di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra,
né di ciò che è nelle acque sotto la terra.

Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai.
Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso,
che punisce la colpa dei padri nei figli
fino alla terza e alla quarta generazione,
per coloro che mi odiano,

ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni,
per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.

Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio,
perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano.

Non uccidere.

Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi,
il suono del corno e il monte fumante.
Il popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano.

Allora dissero a Mosè:
"Parla tu a noi e noi ascolteremo,
ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo!".

Mosè disse al popolo:
"Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla prova
e perché il suo timore vi sia sempre presente e non pecchiate".

Il popolo si tenne dunque lontano,
mentre Mosè avanzò verso la nube oscura,
nella quale era Dio.

Il Signore disse a Mosè:
"Dirai agli Israeliti: Avete visto che vi ho parlato dal cielo!

Non fate dei d'argento e dei d'oro accanto a me:
non fatene per voi!

Farai per me un altare di terra e, sopra,
offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione,
le tue pecore e i tuoi buoi;
in ogni luogo dove io vorrò ricordare il mio nome,
verrò a te e ti benedirò.

Se tu mi fai un altare di pietra, non lo costruirai con pietra tagliata,
perché alzando la tua lama su di essa, tu la renderesti profana.

Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini,
perché là non si scopra la tua nudità.

Passi tratti da: Es, 20, 1-26

domenica 11 gennaio 2015

la libertà e l'uomo debole...


Pur essendo libero da tutti, 
mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero:

mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; 
con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge, 
pur non essendo sotto la legge, 
allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la legge.

Con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge, 
pur non essendo senza la legge di Dio, 
anzi essendo nella legge di Cristo, 
per guadagnare coloro che sono senza legge.

Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; 
mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno.

Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro.

Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, 
ma uno solo conquista il premio? 
Correte anche voi in modo da conquistarlo!

Però ogni atleta è temperante in tutto; 
essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, 
noi invece una incorruttibile.

Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; 
faccio il pugilato, ma non come chi batte l'aria,

anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù 
perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, 
venga io stesso squalificato.


"Tutto è lecito!". Ma non tutto è utile! 
"Tutto è lecito!". Ma non tutto edifica.

Nessuno cerchi l'utile proprio, ma quello altrui.

Tutto ciò che è in vendita sul mercato, 
mangiatelo pure senza indagare per motivo di coscienza,

perché del Signore è la terra e tutto ciò che essa contiene.

Se qualcuno non credente vi invita e volete andare, 
mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, 
senza fare questioni per motivo di coscienza.

Ma se qualcuno vi dicesse: 
"È carne immolata in sacrificio", astenetevi dal mangiarne, 
per riguardo a colui che vi ha avvertito e per motivo di coscienza;
della coscienza, dico, non tua, ma dell'altro. 

Per qual motivo, infatti, questa mia libertà 
dovrebbe esser sottoposta al giudizio della coscienza altrui?

Se io con rendimento di grazie partecipo alla mensa, 
perché dovrei essere biasimato per quello di cui rendo grazie?

Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, 
fate tutto per la gloria di Dio.

Non date motivo di scandalo 
né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio;

così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, 
senza cercare l'utile mio ma quello di molti, 
perché giungano alla salvezza.

San Paolo, Lettera ai Corinzi,
[9,19-27] - [10,23-33]

martedì 6 gennaio 2015

l'umile e ... tutti i tesori del mondo

Ci sono degli uomini che augurano
ai loro nemici ed ai nemici della Chiesa
pene e tormenti nel fuoco eterno.
Essi non conoscono l'amore di Dio, pensando così.

Chi ha l'amore e l'umiltà del Cristo
piange e prega per tutto il mondo.

Tu forse dici: questi è un malfattore,
deve perciò bruciare nella fiamma eterna.

Ma io ti domando:
Ammettiamo che il Signore ti dia un posto nel suo regno,
se tu vedi nel fuoco eterno colui al quale hai augurato l'eterno tormento,
non avrai compassione per lui,
anche se egli fosse stato nemico della Chiesa?

Hai forse un cuore di sasso?
Ma nel Regno dei Cieli non c'è posto per dei sassi.
Lì ci vuole l'umiltà e l'amore di Cristo, che ha compassione per tutti...

O umiltà del Cristo, tu dai indescrivibile gioia all'anima!
Ho sete di te, perché in te l'anima dimentica ogni cosa terrena
e tende sempre più ardentemente a Dio.

Se il mondo capisse la potenza delle parole del Cristo:
"Imparate da me mansuetudine e umiltà",
deporrebbe ogni altra scienza per imparare solo questa celeste.

Gli uomini non conoscono la forza dell’umiltà del Cristo,
e desiderano perciò le cose terrene;
l’uomo non può accedere alla potenza
di queste parole del Signore senza lo Spirito Santo.

Chi l'ha conosciute non le lascia più,
anche se gli fossero offerti tutti i tesori del mondo.

Non c'è nulla di più grande che imparare l'umiltà del Cristo.
L'umile vive cieco e contento, tutto è buono al suo cuore.

Solo gli umili vedono il Signore, nello Spirito Santo.

L'umiltà è la luce nella quale noi vediamo Dio che è la luce:
nella tua luce noi vediamo la luce.

Cosa di più grande l'anima potrebbe cercare in terra?
Cosa ci potrebbe essere di più grande e di più ammirabile:
di un tratto l'anima conosce il suo Creatore e l'amore di Lui!

Essa contempla il Signore, vede quanto è mite e umile,
e non desidera altro se non di acquistare l'umiltà del Cristo.

Finché sosta sulla terra,
non può dimenticare questa umiltà inconcepibile.

Passi vari di San Silvano del Monte Athos, tratti da:
"Silvano del Monte Athos e la sua preghiera per gli uomini. Divo Barsotti"