lunedì 30 settembre 2013

la vita: dalla natura alla grazia...

La natura umana può essere conosciuta gradualmente: fin dalla più tenera età con un approccio esplorativo, poi, in età adulta, con un approccio razionale. 
Se viene accolta la definizione di uomo come "animale, razionale e socievole", sarà possibile sostenere che la natura umana possiede almeno tre caratteristiche specifiche e note che la rendono determinata: l'inclinazione naturale, la sostanza spirituale, la tensione relazionale. Esse ci permettono di distinguere la natura umana dalle altre creature e dal Creatore, pur nella somiglianza conosciuta e creduta secondo la fede biblica. 
L'inclinazione naturale si esprime nel moto istintivo primitivo, retto e razionale ma non frutto di un atto riflessivo; la sostanza spirituale si esprime nell'atto intuitivo e intellettivo puro, che offre una conoscenza certa e stabile dell'ente/bene conosciuto: agisce in modo retto, secondo natura, nell'atto riflessivo e nell'atto volitivo o volontario ordinato al bene; la tensione relazionale muove il soggetto al conseguimento del bene più grande a cui in società può aspirare, nella condivisione di ciò di cui dispone legittimamente: la capacità di generare la vita.   
Pertanto, nella società, nelle relazioni umane è naturale e ragionevole che l'uomo e la donna desiderino secondo la propria inclinazione donarsi in modo spirituale e stabile, nella condivisione dei beni spirituali e materiali di cui dispongono legittimamente e di cui possono disporre: questo tipo di relazione stabile la chiamiamo comunemente matrimonio.
Se questo però non è indispensabile per la perfezione dell'individuo, rimane necessario per la perfezione della società: è certamente chiaro che per il bene della società, non tutti possono fare tutto! 
Quando per il bene di una società, si percepisce necessaria la crescita nell'acquisizione di beni spirituali e beni materiali, allora ci si comporterà in modo da incoraggiare tanto l'inclinazione di alcuni a porsi come guide, in senso religioso, a servizio della comunità, quanto la propensione di altri a seguire l'inclinazione naturale e spirituale alla pro-creazione di una nuova vita e a lavorare a servizio della stessa.
In questa prospettiva, la società ha anche il dovere di insegnare ai giovani a riconoscere quali guide politiche sono capaci di orientare con una capacità "contemplativa" al bene della società tutta, secondo il suo fine naturale, e quali invece per ragioni diverse intendono orientare la società, senza lungimiranza, per un fine "innaturale": quest'ultima sarebbe una società priva di un senso di equilibrio e di ordine, tanto nelle idee quanto nel perseguimento di un fine sicuro, per questo diretta alla sua stessa fine.
Non tutti possono fare tutto! Solo nel fine naturale della società è possibile riconoscere l'autentico fondamento costitutivo di una "società aperta" alla vita.
In tal modo alcuni liberamente potranno contribuire al bene della società scegliendo, in una prospettiva "contemplativa", di realizzare nel matrimonio la possibilità naturale di generare la vita, nella fiducia che il bene che deriva da un atto buono, compiuto per un fine legittimo, è sempre buono. 
In una società "sana", che quindi ama la vita nel suo essere determinata in una sostanza spirituale e materiale, sarà una priorità di chi si trova al governo della stessa incoraggiare i giovani alla procreazione nel matrimonio, anche economicamente e attraverso riforme a favore del lavoro, per lo sviluppo di una società giovane che altrimenti tenderebbe pericolosamente alla morte e all'estinzione.        
Secondo un criterio di prudenza, ordinato alla realtà naturale e perfezionato secondo l'ordine soprannaturale, il matrimonio, come unione esclusiva naturale tra un uomo e una donna, viene incoraggiato per esempio nella Chiesa Cattolica anche come atto religioso. I coniugi nell'unione libera tra loro e Dio possono, nella nuova legge della grazia, vivere l'unione spirituale e l'unità fisica nell'apertura alla vita secondo l'amore, la possibilità e la responsabilità a cui li attira la natura e la grazia stessa. 
L'integrità del matrimonio nella libera scelta di un obbligo reciproco di fedeltà alla vita, compiuto tra gli sposi e Dio nel sacramento, non esige l'unione sessuale: la perfezione primaria, infatti, si realizza  nel comune orientamento alla vita "contemplativa"; la perfezione secondaria, comprende integralmente l'attività pro-creativa come legittima e possibile.
Pertanto l'indissolubilità scelta nel matrimonio religioso rende visibile, nell'esperienza diretta degli sposi, il primato della pratica dell'amore spirituale: nella stessa fede gli sposi possono superare la possibilità o l'esperienza reciproca del tradimento, di un impegno preso con Dio, nel perdono e nella grazia che tutto fa nuovo.

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martedì 24 settembre 2013

"informata"..ma non sempre "formata"

L'intelligenza umana, ordinariamente, fa percepire alla volontà un desiderio di "saperne di più" che è conforme alla sua natura: l'uomo intelligente per natura, infatti, desidera sapere...vuol essere informato! L'uomo comune ha fiducia nella possibilità di acquisire una conoscenza che gli consenta di prendere delle decisioni razionali, in modo conforme alla sua natura, per potersi dirigere al bene spontaneamente desiderato, nel più comune dei casi il bene più grande possibile, tutto il Bene.
La società tutta, la società "sana", è impegnata a favorire attraverso il "povero" servizio dell'informazione la maggior parte degli uomini affinché possano raggiungere tutto il bene legittimamente desiderato e nel condividerlo, come bene pubblico o privato, goderne a pieno: la felicità più grande che un uomo può raggiungere dipende dalla realizzazione della sua natura e dal momento che la natura propria dell'uomo è quella di essere socievole, il desiderio di bene proprio del singolo, di uno Stato o di una Comunità internazionale potrà essere soddisfatto soltanto nella condivisione del bene posseduto ... 
Pertanto generalmente oggi condividiamo il più possibile l'informazione, siamo informati, vogliamo informare ed essere informati.
Il punto critico relativo al "povero" servizio di informazione sta nell'attendibilità di chi da l'informazione, o come potremmo dire in altri termini è importante sapere se la persona che informa è credibile ed è incline  a essere nelle parole e nei fatti verace. 
La maggior parte delle persone concorderebbero nel dire che lo scambio di informazioni si basa su un rapporto di fiducia, sulla conoscenza dell'interlocutore, sulla sua fedeltà alla verità che lo riguarda e che trasmette per il bene del suo vicino: è chiaro che per il bene del vicino non è bene dire sempre, non è bene dire tutto ... le "asimmetrie informative" rimangono anche nelle "società informate".
Certamente chi si sente più capace avrà la possibilità e di conseguenza il dovere di informare il vicino per il bene di ciascuno, di entrambi e della società ... il suo impegno nella ricerca della verità e della buona informazione partirà da una fiducia in se stesso, nel bene e nel destinatario del messaggio, relativamente al buon uso che potrà farne.
Il desiderio legittimo e tutto umano di informazione sulle quantità (tangible asset) e sulle qualità (intangible asset) misurabili  e non,  potrà essere anticipato in un "laico comune" da un desiderio di informazione su ciò che riguarda tutto il Bene possibile, la Realtà, nella sua natura spirituale e materiale: nell'orizzonte della fede, ad esempio cristiana, ognuno può sentire un bisogno di informazione che gli consenta di uscire dal disordine vago delle idee e dei ricordi, per orientarsi all'ordine delle idee, nella novità di una visione e una missione chiara...sempre vissuta tra le cose materiali e nel riconoscimento del relativo valore.
Nella vita di fede, che è sempre un dono divino tra il cielo e la terra, si fa riferimento alla propria coscienza, all'autorità di Dio e ad una autorità esterna, che definisce per una maggiore certezza comune le verità che rientrano nell'orizzonte di quella fede: nella cristianità, ad esempio nella Chiesa Cattolica, l'autorità religiosa è stata riconosciuta come la legittima guida nella definizione del giusto sentiero da seguire, per vivere secondo la fede particolare e avere la salvezza in Cristo Gesù, vero Dio e vero Uomo, morto e risorto per la salvezza dell'uomo. 
Nel campo della fede si può essere "bene informati" ma sicuramente esiste una certa incompletezza, pur rimanendo con un atteggiamento di apertura, tra il desiderare e avere una informazione relativa alla fede (ad es. nella Chiesa Cattolica) e il vivere nella fede abitualmente, spontaneamente e volontariamente, in quella moderazione di vita che chiamiamo "virtù di fede". 
La fede "informe" e "informata", pertanto, consente all'intelletto di orientarsi al bene consapevolmente ma soltanto l'unione di amore con Dio nella fede "formata" consente alla volontà di agire nell'ordinario, perfino subendo il martirio, rimanendo stabilmente nella pace ...    

                    

martedì 17 settembre 2013

"e pur si muove"!

Se è vero che "non è possibile che una cosa sia e non sia nello stesso tempo e dallo stesso punto di vista", allora è possibile che una persona in momenti diversi possa dire qualcosa, che se dicesse nello stesso momento e dallo stesso punto di vista risulterebbe contraria o contraddittoria: "e pur si muove"!

Se si vuol dire qualcosa a interlocutori diversi con l'intento di comunicare qualcosa o voler persuadere su qualcosa, sicuramente sarà necessario utilizzare modalità di comunicazione diversa pur non perdendo di vista il contenuto del messaggio nella sua interezza: sta all'astuzia dell'interlocutore voler cogliere il senso del discorso e rispondere o agire in modo adeguato alle circostanze, sempre nella libertà di espressione o azione a cui segue una responsabilità personale relativa, nel bene o nel male, all'atto compiuto.

Il passare del tempo, a quanto pare, obbliga ciascun interlocutore sia in un colloquio a due che di gruppo a prendere posizione in modo determinato, chiaro e preciso: se si vuol tentare di mantenere un atteggiamento aperto al dialogo non è consigliabile cercare di difendere una posizione in modo "statico"; piuttosto, diventa necessario al fine di non perdere il "ruolo di interlocutore", più o meno privilegiato, difendere una posizione in modo "dinamico"... 

Ma cosa significa difendere una posizione? Che senso ha difendere un posizione? 

Evidentemente quando utilizziamo il termine "difesa" ci viene in mente un termine contrario come "attacco", ci può venire in mente il termine "rischio", "paura", o il termine "guerra"; in positivo pensiamo al termine "prudenza" o al termine "forza", al termine "giustizia" o "pace"... 

Se pensiamo al termine "posizione" si presentano a noi nella mente tanti campi del sapere in cui questo termine può assumere significati e valenze diverse. Ad esempio si parla di posizione nei giochi a due, nei giochi di società, nei discorsi privati e pubblici o politici, nell'economia relativamente alla distribuzione, vendita e "posizionamento" dei prodotti ... nei campi di guerra, tra gli "operatori di pace" ...

Molte volte, prima si dice una cosa e poi se ne dice un'altra ... e si sente dire: ma così "ti contraddici"! 
Molte volte si dice di fare una cosa e se ne fa un'altra ... e si sente dire: tu parli bene, ma alla fine "ti contraddici"! 

Quando nel dialogo un interlocutore va incontro alla contraddizione sembra che tutto si fermi: ma è possibile contraddirsi nel dialogo? è possibile contraddirsi quando tutto cambia?

Sembra che per fare un discorso semplice, lineare, fermo nella verità si debba escludere la possibilità di contraddirsi; allo stesso tempo però riscontriamo che nel nostro movimento vitale in modo accidentale o in modo sistematico, talvolta liberamente o volontariamente ci allontaniamo da un discorso semplice e lineare per cercare di comprendere la posizione dell'altro, siamo in grado di sospendere il giudizio sul "giusto" o "sbagliato", sul "vero" o "falso" che potremmo esprimere con certezza se fermassimo ogni atto in un momento storico preciso.

La "contraddizione pratica" potrebbe esistere, pertanto, soltanto se fermassimo il tempo!

Dal momento che a noi non è possibile farlo possiamo soltanto riscontrare rispetto ad una "posizione", un "proposito" o un "punto di vista", un certo allontanamento o "negazione temporanea" che potremmo misurare come "discreta" o "relativa" e soltanto fermando il tempo "assoluta".

Ad esempio se un angelo, con una natura spirituale non corporea e "non storica", può cadere in una "contraddizione pratica assoluta"; l'anima umana, invece, con una vitalità storica propria, che tende consapevolmente ad una condizione di libertà, qualora percepisse in coscienza di essere caduta in una "contraddizione pratica" rispetto ad un buon proposito preso, potrà nel tempo dare forza ad un movimento che conduca ad un comportamento tale da tendere nuovamente e consapevolmente al buon proposito fermo, prima negato, e così superare la "contraddizione pratica relativa".

Le autorità politiche o religiose più prudenti certamente sono consapevoli che per servire e salvare un popolo, restando fermi nella verità e nella giustizia, sia necessario dialogare in modo responsabile per comprendere la contraddizione e "riposizionarla nel tempo", sospendendo il giudizio quando è possibile, nella volontà degli interlocutori di tendere ad una posizione "relativamente vicina" a quegli ideali comuni che chiamiamo verità, giustizia e pace.         

    
  

giovedì 12 settembre 2013

...la vita dei solitari

Se la vita comune, la vita sociale nella sua dimensione politica ed economica è un bene per sé stessi e per l'altro, allo stesso tempo può essere un limite alla conoscenza ed alla realizzazione del singolo nella propria individualità. Sub-ordinare le finalità della vita privata alle finalità della sfera pubblica comporta certamente alcuni vantaggi dal punto di vista organizzativo: permette di finalizzare le attività dei singoli per un comune risultato, consente di ridurre gli sprechi di tempo ed energia al fine di ottenere il soddisfacimento di un fabbisogno comune, di godere nella condivisione pacifica di una maggiore quantità di beni e nel lungo termine garantisce maggiore stabilità.
Tuttavia molti sentono il bisogno di una vita solitaria ... dominando in un riposo contemplativo il bisogno di avere e organizzare, vivono di poco, alla ricerca di una beatitudine che si pone come alternativa, a volte necessaria, ai piaceri legittimi di cui si può godere in società, nella vita comune.
Nessuno impedisce la libera scelta della solitudine, anzi in fondo la maggior parte delle donne e degli uomini guarda con ammirazione chi sa andare per la propria strada "in solitaria": un certo stupore, una certa meraviglia incuriosisce e fa prendere coscienza del fatto che sia possibile a tutti e sia spesso un bisogno comune stare da soli, andare da soli.
Chi va da solo "provoca" in chi rimane nel gruppo sentimenti contrastanti: ammirazione e timore, fiducia e sfiducia, spirito di intraprendenza o rinuncia.
La "vita dei solitari" obbliga "involontariamente" la coscienza degli uomini di società a ripensare sé stessa, le proprie abitudini e i propri modelli di riferimento. Il solitario mostra davanti all'incertezza qualità straordinariamente comuni: prudenza, coraggio, prontezza, veracità, riflessività, equilibrio, giustizia, rispetto...
La vita dei solitari richiede seria preparazione, senza la quale sarebbe pericolosissima: se scandalizza i "ben pensanti", i "prudenti", gli "esperti", muove l'interiorità del vicino ad una maggiore riflessione, a maggiore calma, a maggiore discernimento. Se vissuta in modo equilibrato può diventare, anche per la vita comune, una via esemplare, "superiore" ... se nella conoscenza di sé, per esperienza e matura preparazione, allontana da quel comportamento talvolta riconoscibile nelle bestie e muove alla virtù intesa come pacifica tensione al giusto equilibrio tra gli eccessi, troppo spesso ritrovati nella vita di società. 
La vita "pura" dei solitari può offrire al loro ritorno al mondo il servizio più utile, se nello sciogliersi al Sole come neve scompare, impregnando le aridità della terra a cui da vita...

           

mercoledì 4 settembre 2013

per la sicurezza e la pace...non uccidere

Se ogni creatura è stata voluta con intelligenza da Dio e creata a sua immagine e somiglianza per la perfezione, ovvero il conseguimento della Beatitudine senza fine, personale e comunitaria in Dio, allora non è lecito all'uomo uccidere l'uomo. Secondo un ordine di giustizia l'uomo può avere sotto il suo dominio soltanto ciò che è per lui necessario e utile al mantenimento di una vita personale, familiare e comunitaria dignitosa. L'uomo può con intelligenza accordarsi con l'altro per il raggiungimento rispettoso e pacifico, anche se talvolta ingiusto, dell'obiettivo comune. L'interesse economico privato dev'essere pertanto sub-ordinato, per agire in modo "giusto", all'interesse familiare, comunitario e quindi pubblico. Il conseguimento della Beatitudine senza fine, se è riconosciuto l'orientamento di fondo da cui parto, si presenta per l'uomo come un diritto-dovere da esercitare per se stesso e per il bene della collettività, anche davanti all'eventualità che in modo ingiusto qualcuno si metta in opera per sopprimere tale diritto-dovere inviolabile, poiché innato e posto dal Creatore.
Un'autorità pubblica è chiamata a rispettare, promuovere e difendere il diritto-dovere alla Beatitudine senza fine di ogni uomo davanti alla prevaricazione di qualsiasi "piccola creatura ribelle" che in modo ingiusto e pericoloso possa agire contro la sicurezza della comunità intera e dei suoi singoli membri. In quale modo?
Se un privato non può sopprimere la vita di un simile "pericoloso", l'autorità pubblica in taluni casi può farlo per la sicurezza e il bene della comunità. Ma è giusto per esempio che alcuni paesi "buoni e forti" dichiarino guerra ad un "piccolo paese ribelle"? E' giusto che i cittadini di un paese governato in modo ingiusto rimangano vittime innocenti di un pericoloso carnefice? E' giusto che in uno scontro armato internazionale rischi la morte un numero di civili maggiore di quello, già a rischio, nel paese in crisi?
Escludendo la presenza di altri interessi privati che interferiscano con quelli prettamente umanitari, sembra che per un'autorità pubblica in certi casi possa essere giusto sacrificare la "parte malata" a vantaggio dell'intero corpo: allo stesso tempo potrebbe essere ingiusto, a seguito di interessi privati e non per il bene comune, intervenire con violenza rischiando di bruciare nel fuoco dell'ira il grano buono insieme alla zizzania che si era previsto di estirpare da sola. Il rischio che per motivi privati si creino danni gravi per il bene comune riporta l'uomo davanti il comando divino: non uccidere!
Il ministro delle cose del cielo, delle cose di Dio, o qualsiasi uomo "giusto" ha sempre il compito-dovere di ricordare che il bene comune è un interesse da anteporre al bene privato e che il bene spirituale è da considerare superiore al bene materiale ... la sapienza del diritto umano e divino ha reso giusto nella storia, attraverso la pratica intelligente e prudente della Pace, il rischioso cammino nella libera scelta tra la vita e la morte...
L'autorità pubblica è chiamata a scegliere responsabilmente per il bene comune, legittimamente anche con l'esercizio della forza; l'autorità religiosa è chiamata a ricordare ad ogni coscienza umana la propria dignità, perché nel servizio vicendevole e sapiente, con l'aiuto di Dio, si possa difendere in modo pacifico e responsabile il bene della comunità ... affinché non si perda neanche uno.