giovedì 19 dicembre 2013

ricominciare ... dalla povertà

La possibilità che ciascuna persona ha di comunicare se stessa all'altro è sempre limitata: quello che ognuno può dire di sé all'altro è sempre poco; di quello che ho in fondo al cuore, il mio vicino molte volte non ne sa niente ... e per quanto possa provare a farlo capire mi rendo conto che il linguaggio, il mio linguaggio rimane uno strumento o un canale di comunicazione molto limitato e limitante, povero. 
Forse per questo di solito si dice: "a buon intenditore poche parole", oppure "non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire". Escludendo che l'interlocutore non abbia intenzione di comprendere deliberatamente ciò che si vuol dire, rimane di fatto vero che l'incomprensione è un problema diffuso e comunemente ricorrente.
Evitare i lunghi discorsi con chi è poco abituato alla riflessione può essere di certo un modo per comunicare qualcosa e limitare il rischio di incomprensione, tuttavia non si può esser certi che su una determinata questione o su una scelta di fondo si possa senza dialogo aver compreso il senso autentico attribuito dall'altro.
La scelta di iniziare un dialogo con un'altro impone ad entrambi di cominciare la conversazione utilizzando dei codici comuni, per chiarire le ambiguità e per evitare l'incomprensione e così raggiungere seppur con difficoltà il traguardo previsto: lo scambio di informazioni o addirittura il dono di sé all'altro nel servizio, come singolo o come comunità.
Per comunicare bisogna tener conto della povertà e da questa ripartire, dalla propria povertà prima ancora che da quella dell'altro.
Il linguaggio dunque è lo strumento del dialogo, il mediatore, il conduttore di scarsi segnali che se mandati con un certo ordine, conforme alla natura o alla struttura di chi lo riceve possono essere ben percepiti, memorizzati e compresi. 
La grandezza dell'uomo si può esprimere tanto nella capacità di parlare, quanto nella capacità di fare silenzio: è chiaro che il silenzio del saggio è diversamente considerato dal silenzio dello stolto ... l'attesa che ha l'interlocutore nell'ascolto, evidentemente è diversa; ogni parola è diversa dall'altra, ogni comunicazione, discorso o dialogo è diverso dall'altro.
Saper comunicare è un dono e non tutti lo posseggono, c'è infatti chi è più capace a comprendere, chi a fare, chi a consigliare. Pochi posseggono tutte queste qualità e le mettono in atto in modo virtuoso, ovvero in un modo spontaneamente moderato da prudenza e giustizia, fortezza e temperanza, nell'umiltà. 
Ripartire dalla povertà significa spogliare se stessi delle apparenze di una grandezza che sembra inaccessibile, per fare in modo che la vera grandezza, nelle vesti della semplicità e della povertà, gradualmente possa essere compresa da tutti. Perché la grandezza possa essere gradualmente riconosciuta e amata da molti è bene che si manifesti povera a pochi, nella sua semplice purezza e bellezza.
Perché una buona notizia possa essere conosciuta da tutti è bene che prima sia conosciuta da alcuni, poi da altri ... poi da molti. Se comprendiamo bene il modo di comunicare e di agire dell'uomo, possiamo ben comprendere il modo di comunicare e di agire di Dio: anche "Dio agisce con ordine e mediazioni".
Nella nascita del Cristo, nella povertà, Dio si è fatto conoscere in modo graduale dall'uomo ed ha lasciato all'uomo il piacere e il compito di comunicare Dio al mondo, nel modo "casuale" previsto da sempre dalla Provvidenza divina. Dio di fatto ha scelto di farsi conoscere attraverso la creazione e attraverso l'uomo, perfino la Sacra Scrittura che parla di Dio e rivela Dio, nel mistero dell'ispirazione, per noi rimane Parola di Dio e parola d'uomo. Il dono della fede, universalmente donato a tutti, di fatto è inizialmente accolto soltanto da alcuni, perché nel mistero anche gli altri possiamo ricominciare ad avere fiducia in un Dio che (escluso ogni errore) ci assomiglia in tutto, persino nella povertà.
  

domenica 1 dicembre 2013

aspettando buone notizie...

Se volessimo provare a distinguere il modo di agire di Dio dal modo di agire dell'uomo dovremmo certamente notare quali punti di somiglianza rendono l'uomo paragonabile al suo Creatore.
Come molte volte affermato, l'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio secondo la natura spirituale ha ricevuto intelligenza e volontà nel modo dell' "incarnazione": lo spirito dell'uomo non è quindi immaginabile con una libertà "dalla" contingenza, ma con una libertà "nella" contingenza. La natura creata rimane sottoposta al dominio dell'uomo per la libertà, lui è chiamato a rispettarla secondo il genere e il fine.
Il modo di agire liberamente dell'uomo "nella"contingenza fisica e materiale del corpo somiglia a quello di Dio nella storia per il modo in cui, dopo l'inizio della creazione e della storia, entrambi intervengono per compiere e realizzare un disegno di salvezza che dia senso pieno all'atto d'amore iniziale con cui tutto è stato voluto.
Chiaramente l'uomo ha bisogno di una luce particolare per riconoscere, in sé e fuori di sé, il senso di quel disegno o progetto di salvezza in cui si trova a partecipare in modo personale e comunitario, con sorelle e fratelli simili a lui.
La possibilità di riconoscere un senso e un buon fine nella storia permette all'uomo di vivere secondo un desiderio di giustizia, di amore e di pace che lo porti alla vera gioia interiore ed esteriore...riconoscere nel Bene il senso e il fine della storia è causa nell'uomo di un ottimismo consapevole del limite, del male e dell'errore ... ma soprattutto di un bene che ogni cosa abbraccia e supera nella perfezione.
Rispetto alla questione della libertà nella storia, sembra che l'uomo e Dio agiscano e intervengano in essa necessariamente in modo personale e soprattutto secondo un "principio di convenienza". 
L'uomo si sente veramente libero soltanto se rimane nella condizione di scegliere il bene per cui è stato creato, pur nei limiti esteriori e interiori del suo spirito e delle contingenze materiali: l'uomo si sente pienamente libero solo se può scegliere il bene da compiere per essere felice secondo un "criterio di convenienza". Perché l'agire dell'uomo possa confermarsi e perfezionarsi nel modo di una natura razionale è bene che si esprima e si realizzi in una "libertà di convenienza relazionale" spirituale e materiale, politica ed economica ... storica e sociale: con questo si intende dire, evidentemente, che per realizzare a pieno la natura umana bisogna preferire, agli eccessi dell'individualismo pratico, un modo di relazione che tenda sempre alla libertà in un contesto sociale che ha la forma di una comunità, con un fine che supera qualitativamente e quantitativamente gli interessi particolari delle singole persone e solo nella realizzazione di ciascuna di esse può compiersi a pieno.
Per comprendere quanto detto rispetto al modo di agire di Dio, è possibile prendere d'esempio l'incarnazione di Dio, del Verbo fatto Uomo, per cogliere il senso di un agire che opera liberamente secondo un "principio di convenienza" e non di necessità!
L'incarnazione di Dio, nel piccolo uomo-Dio Gesù di Nazareth, ha permesso all'uomo di avere un modello visibile per tendere spontaneamente e liberamente nell'imitazione al perfezionamento ragionevole della propria natura, nell'Amore. Il compimento della redenzione, opera esclusiva di Dio, si è realizzato infatti nella condivisione con tutta l'umanità di un atto che, nel mistero, permane come presenza di un Dio "con l'uomo, per l'uomo e nell'uomo". La liberazione dell'uomo dal peccato originale, con l'incarnazione di Dio, si è compiuta nell'umiltà e nel silenzio, perché ognuno potesse beneficiare della grazia, secondo la possibilità personale di conoscere il bene e la salvezza nell'accoglienza interiore ed esteriore. La libertà dell'uomo di scegliere la vita o la morte ha reso lui stesso consapevole del valore della libertà personale e della gratuità del dono della liberazione dall'errore e dalla morte: l'incarnazione di Dio nella storia ha ridonato all'uomo la possibilità di conoscere, grazie alla luce, il valore della propria vita e dei beni materiali, nella prospettiva e nel senso che ha secondo Colui che l'ha creata con e per Amore .            
Il modo di agire di Dio, nella prospettiva della fede cristiana, sembra dunque rendere esplicito il senso della creazione nella "obbedienza alla legge della libertà", obbedienza che realizzata per amore compie e supera, nell'umiliazione di Dio, le ragioni del dovere a favore di quelle della vera libertà. 
Per tutti in una vita quotidiana piena di povertà e ricchezza tutto ciò rimane un mistero ... tuttavia proprio nel mistero può nascere sempre in ogni persona il desidero di aspettare buone notizie...
     
         

lunedì 18 novembre 2013

oltre il determinismo...

La realtà materiale di cui siamo fatti e che ci circonda è condizionata dal punto di vista fisiologico e fisico da forze naturali che ci consentono di considerare alcuni fenomeni come misurabili. 
E' possibile anche riscontrare in determinati fenomeni una certa "costanza di forma", che rende gli stessi fenomeni rappresentabili nel tempo. La capacità di riconoscere una certa uniformità negli oggetti o nei fatti considerati permette a molti di poter riconoscere una trama di fondo che consente agli storici di fare e disfare la storia dell'umanità. Le trame di questa storia tuttavia rimangono misteriose, malgrado gli sforzi fatti da alcuni per far valere una interpretazione storica o un'altra, come maggiormente adeguata a descrivere una certa "costanza di forma"... 
La possibilità di misurare, nella loro frequenza, determinati fenomeni potrebbe indurre l'osservatore a ritenere che sia possibile riconoscere e indicare, in un mondo che cambia, dei criteri di regolarità o stabilità: se da una parte la tradizione del pensiero filosofico, fondata sulla libertà degli atti umani, ha potuto confrontarsi con le ragioni relative all'esistenza di una legge naturale; allo stesso tempo ha tenuto presenti le ragioni di chi legittimamente ha sostenuto il diritto positivo.
Se è possibile riconoscere nell'uomo in quanto tale intelligenza e volontà, come unica sostanza spirituale, pur nella sua finitezza e caducità, allora è possibile riconoscere e pensare l'uomo dotato di una coscienza libera, capace di agire ragionevolmente in conformità alla sua propria natura, quindi secondo una legge naturale, comune alla natura umana, pur nelle diverse espressioni psico-fisiche dell'uomo e della donna nelle diverse fasi di sviluppo evolutivo.
Se è possibile pensare l'uomo dotato di una coscienza libera, capace di agire ragionevolmente per il bene proprio, del suo prossimo (es. famiglia) e della comunità in cui vive e in cui cresce, allora è possibile pensare che sarà interessato a definire in accordo e nel confronto con i suoi concittadini delle regole di riferimento che servano a tutelare se stesso, il prossimo e l'intera comunità per il bene comune. Attraverso un sistema convenzionale, fondato sul buon senso in conformità alla legge naturale di cui si riconosce possessore e interprete, l'uomo comune potrà dominare legittimamente il mondo materiale e le forze che lo caratterizzano nel rispetto degli equilibri ambientali, naturali, in cui si riconosce "dominus" o signore del creato. 
La capacità di fare il bene, in conformità alla propria natura e quindi alla legge naturale, pone l'uomo sia al vertice della creazione, come libero signore delle forze della natura sia al vertice della società in cui vive, in quanto capace di relazionarsi con i suoi simili, portatori e interpreti di una stessa legge naturale, per raggiungere un accordo di collaborazione per il bene comune.  
La caducità dell'uomo tuttavia è evidente tanto davanti alle forze della natura, quanto alle forze politiche della società: la natura e la società possono umiliare l'uomo, anche quando non si pone davanti a loro come nemico; lui, nel comprendere con umiltà le ragioni della natura e della società, può tornare da amico e interprete a operare in vista di un bene e di un fine comune.  
Il rischio di pensare la natura e la società nelle vesti di una realtà materiale priva di uno spirito di libertà può essere superato dall'uomo e dalla donna comune attraverso un esercizio volontario e continuo di libertà. 
I ragionamenti dell'uomo nella maggior parte dei casi rimangono incerti e conducono a conclusioni probabili, tuttavia è sempre possibile andare oltre ogni determinismo materiale nell'impegno costante per favorire la libertà di spirito e la diffusione dell'arte, nella libertà d'ingegno e nella creatività.    
  

giovedì 7 novembre 2013

un'altra eredità: un'ancora

C'era una volta una giovane ricca di talenti che andò via da casa in cerca di lavoro e dopo tanto vagare, dopo aver conosciuto la miseria e la povertà, ebbe la fortuna di conoscere un ricco amministratore, amico del padre della giovane dal quale lui stesso aveva avuto tutto in dono. 
La mise prima a capo di un'area dell'azienda, poi via via notando il suo talento la pose accanto a sé, affidandole la gestione dei suoi averi. Tuttavia malgrado la serietà e l'impegno professionale della giovane, a seguito della vita dissoluta dell'amministratore e di una crisi economica mondiale, l'azienda andò in crisi. 
La giovane, sempre ricca di talenti, legata professionalmente all'amministratore dissoluto e fallito ereditò l'azienda, con le proprietà e tutti i suoi debiti.
Il padre della giovane seppe della disgrazia in cui venne a trovarsi la figlia onesta e mandò il fratello maggiore, come buon amministratore, perché andasse in aiuto della sorella liberandola dall'angoscia in cui si trovava a causa del debito ereditato dall'amministratore disonesto. Il fratello maggiore solo dopo aver sanato il debito con le ricchezze di famiglia, sarebbe potuto tornare con la sorella alla casa del padre per godere dell'amore vero dei cari, nella semplicità e nella ricchezza.
La giovane senza colpa aveva ereditato dall'amministratore disonesto un grosso debito e malgrado l'impegno le era impossibile vivere felice. Solo l'intervento del fratello maggiore, per amore del padre, poté colmare il debito ereditato da un'estraneo e consentire alla giovane di vivere una vita felice, nella ricchezza che un'onesta vita di famiglia assicura davanti a Dio e al prossimo, nel giusto possesso dei beni necessari al sostentamento ed ad una buona vita, pur nelle difficoltà quotidiane...
In modo semplice, serio e con un senso cristiano, è possibile tornare a riflettere sulla questione del male e sul mistero del peccato originale. Potremo serenamente accogliere il dogma della natura innocente di un bimbo ferita dal peccato originale, ereditato da Adamo, soltanto se nella nostra mente sarà presente nella fede la certezza che siamo figli adottivi di un Dio Creatore che è Padre e ci ama, tanto da mandare il figlio unigenito per la nostra salvezza. 
Quando manca la certezza della fede le parole si moltiplicano e i discorsi si complicano fino a fare confusione: solo nella fede possiamo accogliere il dono di grazia del battesimo, come un eredità che Dio Padre ri-dona gratuitamente ai suoi figli adottivi, per liberarli da un male o da un debito disgraziatamente ereditato da un cattivo amministratore... 
Riconoscere che una natura buona e innocente può essere ferita dal male provocato anche indirettamente dai vicini, aiuta a comprendere l'amore di un Padre che, conoscendo il dolore e la sofferenza di un figlio innocente e ferito, liberamente, gratuitamente e per amore manda il figlio più grande in aiuto del figlio adottivo più piccolo per salvarlo dal male, riportarlo a casa, per godere del vero bene e della vera ricchezza nella sua vera famiglia. 

giovedì 24 ottobre 2013

il bene e le concause della libertà

La riflessione filosofica sulla libertà ha condotto numerosi pensatori a confrontarsi sul tema del bene e del male. Assumendo l'informazione biblica secondo la quale l'uomo è stato creato da Dio "bene" e "per il bene", possiamo chiederci in cosa consista la libertà per una creatura. Se assumiamo sempre come riferimento per la nostra riflessione il contenuto della rivelazione biblica, possiamo affermare che l'uomo creato ad immagine e somiglianza del Figlio di Dio, in intelligenza e volontà, esiste per il bene e può realizzarsi nella libertà, nella capacità di compiere un'azione in conformità alla sua natura, secondo un ordine di ragione che comprenda nella finitezza creaturale la possibilità di fare il male.
Ma cos'è il male?
Rifacendoci alla tradizione del pensiero cristiano possiamo affermare che il male è la mancanza di bene.
Se tutto ciò che esiste è stato creato bene e per il bene la possibilità del male, impossibile a Dio come atto creativo, può darsi soltanto per la libera scelta di un essere simile a Dio dotato di intelligenza, volontà e capacità di giudizio razionale.
Ma cosa sono l'intelligenza, la volontà umana e la capacità di giudizio razionale?
In breve possiamo affermare che l'intelligenza è la capacità di conoscere immediatamente il bene secondo l'ordine e il fine specifico; la volontà è la capacità di desiderare il bene, secondo l'ordine e il fine specifico; la capacità di giudizio razionale è la capacità di "riconoscere" il bene nell'atto di mediazione del ragionamento, secondo l'ordine e il fine specifico.
La libera scelta del bene desiderato, pertanto, può realizzarsi in modo ragionevole nel retto giudizio del bene desiderato nel confronto con gli altri beni conoscibili e può realizzarsi, invece, in modo irragionevole nell'assenza di un retto giudizio. Quest'ultimo può essere causato, ad esempio, da un'impulsività della volontà, non governata dalla ragione e quindi incapace di attendere la mediazione della ragione stessa, riguardo al retto giudizio sul bene desiderato. Un'altra causa d'errore nella scelta libera del bene, secondo l'ordine e il fine specifico, potrebbe essere una conoscenza immediata del bene in un'intelligenza "non chiara", miope, altrimenti oscura: come se un soggetto, a partire dalla visione miope di un utile oggetto rosso, dopo la mediazione del ragionamento, si decidesse a prenderlo scoprendo solo al tatto che l'oggetto utile è incandescente.
Se gli errori o i mali descritti possono essere causati dalla debolezza della volontà o dell'intelligenza, la libera scelta disordinata del bene può essere dovuta anche ad una errata convinzione, consolidata nel tempo come un "erroneo giudizio retto", sull'ordine e il fine specifico del bene desiderato e scelto.
Importante è tenere presente che nella nostra prospettiva la volontà, per quanto l'intelligenza non sia particolarmente illuminata, desidera sempre il bene!
Pertanto, soltanto il bene nella spontaneità della natura umana è oggetto della volontà e del suo desiderio. Sembra dunque che la libertà dell'uomo sia, per natura, sempre per il bene e mai per il male...
Ma allora cos'è il male? E' possibile desiderarlo liberamente, se la volontà ama o desidera sempre il bene?
Se è vero che la volontà ama sempre il bene, tuttavia, nel mistero della libertà, essa può muoversi per la realizzazione di un'azione o di un atto non tenendo conto, a causa di un'intelligenza poco illuminata, dell'ordine e del fine specifico del bene desiderato e scelto: in questo modo l'uomo può realizzare il il male...
E' bene tener presente che se è reale l'esperienza che facciamo del male, è altrettanto reale che possiamo farla solo per differenza e nella prospettiva di un bene possibile.
Da questo punto di vista il male non si presenterebbe all'intelligenza e alla volontà come "primo oggetto" ma solo per differenza nel processo che precede il libero atto della scelta. Secondo natura l'uomo in prima istanza e spontaneamente tenderebbe a conoscere e desiderare il bene per fare il bene: nella molteplicità di oggetti da scegliere o atti buoni da compiere, il male non si presenta come necessario ma  solo per difetto come una possibilità!
Solo un Dio Onnipotente, da questo punto di vista, può permettere la possibilità del male e assumerne in Cristo gli effetti sulla croce per donare nuovamente la vita e il bene, secondo l'ordine e il fine specifico originario, a ciò che lo aveva perso!
La possibilità del male nasce, dunque, nel mistero della libertà dell'uomo come possibilità di rifiutare in modo oscuro l'ordine del bene e il fine specifico di ogni cosa: secondo la fede biblica, infatti, tutto sarebbe disposto per amore e per la gioia stessa dell'uomo, adottato come figlio da un Dio che è Padre. Nella volontà Buona di un Dio Onnipotente la libertà umana può essere così pensata soltanto come un dono fatto all'uomo, creato a sua immagine e somiglianza, per realizzare in modo naturale e soprannaturale il bene; allo stesso tempo il bene creato si presenta come un dono per l'uomo, perché liberamente di tutto disponga ragionevolmente per il bene personale e della comunità, per riconoscere la causa e il fine di tutto nell'Amore di Dio. 
                      

domenica 20 ottobre 2013

una storia: in teoria e in pratica...

La vita del pensatore rischia comunemente l'incomprensione, come se fosse la vita di un essere privo di sensibilità, di esperienza, di audacia o delle virtù più comunemente riconosciute nell'uomo d'azione. 
Sembra infatti che l'azione dell'uomo "di pensiero" sia differente dall'azione dell'uomo "concreto", anche se soltanto da un certo punto di vista... 
Ad esempio, riflettere sul processo di generazione della vita o partecipare al processo di generazione della vita, certamente sono azioni diverse: è possibile che in momenti diversi la stessa persona compia le due azioni. Per quanto sembri banale, cambiando esempio, ci rendiamo conto che è diversa l'azione di chi riflette sulle decisioni da prendere e di chi esegue determinate decisioni: in entrambi i casi l'uomo "di pensiero" e l'uomo "concreto" devono assumere un rischio e una responsabilità relativa al fatto di essere fallibili. 
Pertanto, in relazione alla Verità e al Bene (nella certezza che esistono!), le azioni riflessive e pratiche nell'esecuzione dell'atto da compiere sembrano essere accomunate dalla fallibilità: da una parte un'attività di astrazione logico-descrittiva dei fatti accaduti o delle esperienze fatte; dall'altra un'attività motorio-relazionale, fonte di nuovi fatti ed esperienze su cui poter riflettere.
Sembra evidente alla maggior parte degli uomini che nello stesso soggetto, malgrado cambi l'intensità dell'azione, l'attività riflessiva si realizzi durante un'attività pratica di minore intensità e viceversa: le attività riflessive guidano, dunque, le attività pratiche e le attività pratiche orientano le attività riflessive, tutto avviene in istanti diversi ma contemporaneamente.
Dopo queste considerazioni vale la pena riflettere brevemente sul senso della storia, sul valore di una tradizione e dell'innovazione da un punto di vista scientifico-tecnologico e spirituale.
Se la tradizione dal punto di vista scientifico-tecnologico è bene che sia sempre superata, nel rispetto del creato, per un vantaggio e un beneficio culturale ed economico di tutta la società; dal punto di vista spirituale, il vissuto trasmesso con l'esempio o con gli scritti, da chi ci ha preceduto, non sempre può essere superato...
Se la storia dello sviluppo scientifico segue un processo evolutivo tendenzialmente progressivo, la storia degli uomini e delle comunità umane - ad esempio dal punto di vista della comprensione del diritto o dell'approfondimento antropologico - non sempre ha seguito uno sviluppo progressivo, quanto "casuale". 
In alcuni casi, infatti, alcune persone hanno saputo descrivere la realtà umana, materiale e spirituale, attraverso una riflessione ben strutturata e dialogica, aperta al riconoscimento di ciò che muta nel discernimento da ciò che "non muta", con uno straordinario spirito di penetrazione di ciò che è più comune.
La tradizione di un popolo può contenere nella sua storia un insieme di storie particolari, personali, di uomini irripetibili che hanno saputo vivere con intensità vicende spirituali così forti da restare impresse nel ricordo dei vicini, tanto da far sentire loro il dovere di trascriverne il ricordo. In altri casi, molti uomini e donne sono stati in grado di raccontare, in modo narrativo o scientifico, l'intensità con la quale hanno conosciuto la realtà umana, sia dal punto di vista naturale che soprannaturale. Com'è noto non tutti gli uomini sono stati in grado di lasciare nel ricordo dei vicini, attraverso la comunicazione di vita o gli scritti, uno stesso esempio. 
Così, se è vero che la storia può essere considerata maestra di vita è altrettanto vero che non può essere replicata e come in un copione riportata fedelmente: rimane vero però che la storia umana può essere "ri-vissuta".
Dal punto di vista cronologico, non potranno mai più ripetersi i fatti di un tempo passato e neanche il "sentimento storico" degli uomini potrà essere lo stesso; da un altro punto di vista, invece,  nell'uomo esisterebbe un "sentimento comune", spiritualmente storico, percepito come "fuori dal tempo" e del tutto fondato in una fede naturale e biblica: un "sentimento comune d'eternità", che può consentire agli uomini di provare lo "stesso sentimento"... 
Alcuni, uomini e donne di religione diversa, hanno potuto probabilmente percepire lo stesso "senso d'eternità", nella stessa epoca o in epoche storiche diverse e lontane: questo è testimoniato da una certa somiglianza tra gli scritti di carattere spirituale.
Per questi motivi, ad esempio, nella Chiesa Cattolica la "scienza dei beati" o dei santi è stata riconosciuta "comune", per somiglianza di vita e contenuto degli scritti: il dogmatismo è stato sempre di fatto negato nella storia dei "giusti" di tutte le religioni, grazie alla loro capacità di ri-vivere il vecchio e il nuovo in un "sentimento comune d'eternità" che comprende e assume il cambiare del tempo.
La vita umana, se autenticamente centrata in Dio, può adeguarsi a ciò che muta nella stabilità di un "sentimento comune d'eternità", percepito dall'anima attenta ... nella certezza che soltanto Dio muovendosi non muta.

    

                  

venerdì 11 ottobre 2013

luci e ombre ...

La possibilità di parlare delle virtù umane o riflettere sulle perfezioni dell'uomo, nella capacità di esprimere un retto giudizio sulle cose e sui comportamenti umani, porta certamente ognuno davanti a luci e ombre ...
L'eventualità che un nostro giudizio sulle cose, sui comportamenti umani e sulla stessa natura umana o sulle realtà del mondo della fede religiosa possa non essere chiaro, fa emergere un sentimento di timore e tremore. Posso chiedermi: ma chi sono io per giudicare le realtà umane? chi sono per giudicare le realtà divine? 
Con fede o senza rimangono nella mente comune luci e ombre...
La dimostrazione logico-razionale o scientifica dei fenomeni naturali, economico-sociali o politici molte volte non è in grado di soddisfare le esigenze dei ricercatori specializzati, a causa della inadeguatezza del metodo di indagine utilizzato o delle informazioni acquisite, attraverso i raffinati strumenti di rilevazione statistica... Sembra che alla fine dello studio il giudizio "giusto" debba essere espresso seguendo una modalità istintiva, secondo un'inclinazione naturale e razionale: dopo aver compreso l'aspetto logico di un processo cognitivo, per prendere delle buone decisioni diventano necessarie le esperienze, i ricordi e le impressioni che in un particolare momento una persona (specializzata o no) si trova ad avere.
Tra luci e ombre la vita dell'uomo che cerca la verità dipende dalla purezza delle sue intenzioni, dalla semplicità delle sue azioni, dalla chiarezza delle sue espressioni.   
Se pensare all'idea di "semplicità" generalmente non è difficile, se si pensa a qualcosa privo del superfluo; sembra che sia più difficile pensare o parlare della "purezza": che cos'è?
Sicuramente il termine fa pensare, per differenza, all'assenza di qualcosa che privi un elemento di ciò che lo caratterizza nella sua natura specifica, o all'assenza di qualcosa che privi un insieme di ciò che lo rende omogeneo, pur nella molteplicità degli elementi, secondo la natura specifica.
La purezza, pertanto, sembra che dipenda dalla integrità della natura stessa dell'elemento o dell'insieme considerato; ma allo stesso tempo, come concetto, sembra che possa essere pensata solo per differenza: riguardo alla natura umana, molto probabilmente, non è un qualcosa che può essere prodotto dall'uomo o aggiunto all'uomo, in quanto dipende dall'integrità della natura stessa.
Com'è possibile essere certi di una propria purezza? Come si fa ad avere una certa purezza? E' possibile che alcuni uomini siano più puri degli altri? Insomma, che cos'è? 
Giudicare riguardo alla purezza della propria natura, riporta molti ad un sentimento di timore e tremore: sarebbe meglio sospendere il giudizio e non pensarci? 
Come ogni questione che richiede tempo e attenzione anche questa merita, da chi ritiene che sia un bene interrogarsi sul tema, un certo tempo e una certa attenzione: davanti ad una molteplicità di bisogni materiali la questione relativa alla purezza degli atti umani e alla sua origine potrebbe essere secondaria; allo stesso tempo se la purezza degli atti umani fosse ritenuta un bene spirituale capace di generare effetti materiali reali, per il singolo e la società familiare o comunitaria, probabilmente un discreto numero di persone potrebbe sentire la premura di interrogarsi su cosa sia, quali benefici spirituali e materiali possa portare nelle relazioni umane e quale visione del mondo potrebbe consentire agli uomini ... nella ricerca del vero Bene.
In un senso religioso la purezza del cuore e della mente viene sempre intesa come opera della grazia divina, sia nel caso in cui come luce permanga nel suo splendore; sia nel caso in cui da Dio venga donata gratuitamente come luce all'uomo che, distratto e preoccupato dalle cose materiali della vita, si trovi nell'ombra e in una via senza speranza...
La purezza, dunque, in senso religioso può essere intesa come la luce che, solo per grazia divina, è capace di accendere la speranza in una vita che nella relazione con Dio e con l'uomo trova il nutrimento quotidiano.
Sembra che senza il dono della purezza del cuore non sia possibile avere il nutrimento spirituale che da vita alle buone relazioni tra gli uomini e Dio nella speranza, senza la quale non c'è giustizia, pace, amore e neanche un buon pezzo di pane...   


lunedì 30 settembre 2013

la vita: dalla natura alla grazia...

La natura umana può essere conosciuta gradualmente: fin dalla più tenera età con un approccio esplorativo, poi, in età adulta, con un approccio razionale. 
Se viene accolta la definizione di uomo come "animale, razionale e socievole", sarà possibile sostenere che la natura umana possiede almeno tre caratteristiche specifiche e note che la rendono determinata: l'inclinazione naturale, la sostanza spirituale, la tensione relazionale. Esse ci permettono di distinguere la natura umana dalle altre creature e dal Creatore, pur nella somiglianza conosciuta e creduta secondo la fede biblica. 
L'inclinazione naturale si esprime nel moto istintivo primitivo, retto e razionale ma non frutto di un atto riflessivo; la sostanza spirituale si esprime nell'atto intuitivo e intellettivo puro, che offre una conoscenza certa e stabile dell'ente/bene conosciuto: agisce in modo retto, secondo natura, nell'atto riflessivo e nell'atto volitivo o volontario ordinato al bene; la tensione relazionale muove il soggetto al conseguimento del bene più grande a cui in società può aspirare, nella condivisione di ciò di cui dispone legittimamente: la capacità di generare la vita.   
Pertanto, nella società, nelle relazioni umane è naturale e ragionevole che l'uomo e la donna desiderino secondo la propria inclinazione donarsi in modo spirituale e stabile, nella condivisione dei beni spirituali e materiali di cui dispongono legittimamente e di cui possono disporre: questo tipo di relazione stabile la chiamiamo comunemente matrimonio.
Se questo però non è indispensabile per la perfezione dell'individuo, rimane necessario per la perfezione della società: è certamente chiaro che per il bene della società, non tutti possono fare tutto! 
Quando per il bene di una società, si percepisce necessaria la crescita nell'acquisizione di beni spirituali e beni materiali, allora ci si comporterà in modo da incoraggiare tanto l'inclinazione di alcuni a porsi come guide, in senso religioso, a servizio della comunità, quanto la propensione di altri a seguire l'inclinazione naturale e spirituale alla pro-creazione di una nuova vita e a lavorare a servizio della stessa.
In questa prospettiva, la società ha anche il dovere di insegnare ai giovani a riconoscere quali guide politiche sono capaci di orientare con una capacità "contemplativa" al bene della società tutta, secondo il suo fine naturale, e quali invece per ragioni diverse intendono orientare la società, senza lungimiranza, per un fine "innaturale": quest'ultima sarebbe una società priva di un senso di equilibrio e di ordine, tanto nelle idee quanto nel perseguimento di un fine sicuro, per questo diretta alla sua stessa fine.
Non tutti possono fare tutto! Solo nel fine naturale della società è possibile riconoscere l'autentico fondamento costitutivo di una "società aperta" alla vita.
In tal modo alcuni liberamente potranno contribuire al bene della società scegliendo, in una prospettiva "contemplativa", di realizzare nel matrimonio la possibilità naturale di generare la vita, nella fiducia che il bene che deriva da un atto buono, compiuto per un fine legittimo, è sempre buono. 
In una società "sana", che quindi ama la vita nel suo essere determinata in una sostanza spirituale e materiale, sarà una priorità di chi si trova al governo della stessa incoraggiare i giovani alla procreazione nel matrimonio, anche economicamente e attraverso riforme a favore del lavoro, per lo sviluppo di una società giovane che altrimenti tenderebbe pericolosamente alla morte e all'estinzione.        
Secondo un criterio di prudenza, ordinato alla realtà naturale e perfezionato secondo l'ordine soprannaturale, il matrimonio, come unione esclusiva naturale tra un uomo e una donna, viene incoraggiato per esempio nella Chiesa Cattolica anche come atto religioso. I coniugi nell'unione libera tra loro e Dio possono, nella nuova legge della grazia, vivere l'unione spirituale e l'unità fisica nell'apertura alla vita secondo l'amore, la possibilità e la responsabilità a cui li attira la natura e la grazia stessa. 
L'integrità del matrimonio nella libera scelta di un obbligo reciproco di fedeltà alla vita, compiuto tra gli sposi e Dio nel sacramento, non esige l'unione sessuale: la perfezione primaria, infatti, si realizza  nel comune orientamento alla vita "contemplativa"; la perfezione secondaria, comprende integralmente l'attività pro-creativa come legittima e possibile.
Pertanto l'indissolubilità scelta nel matrimonio religioso rende visibile, nell'esperienza diretta degli sposi, il primato della pratica dell'amore spirituale: nella stessa fede gli sposi possono superare la possibilità o l'esperienza reciproca del tradimento, di un impegno preso con Dio, nel perdono e nella grazia che tutto fa nuovo.

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martedì 24 settembre 2013

"informata"..ma non sempre "formata"

L'intelligenza umana, ordinariamente, fa percepire alla volontà un desiderio di "saperne di più" che è conforme alla sua natura: l'uomo intelligente per natura, infatti, desidera sapere...vuol essere informato! L'uomo comune ha fiducia nella possibilità di acquisire una conoscenza che gli consenta di prendere delle decisioni razionali, in modo conforme alla sua natura, per potersi dirigere al bene spontaneamente desiderato, nel più comune dei casi il bene più grande possibile, tutto il Bene.
La società tutta, la società "sana", è impegnata a favorire attraverso il "povero" servizio dell'informazione la maggior parte degli uomini affinché possano raggiungere tutto il bene legittimamente desiderato e nel condividerlo, come bene pubblico o privato, goderne a pieno: la felicità più grande che un uomo può raggiungere dipende dalla realizzazione della sua natura e dal momento che la natura propria dell'uomo è quella di essere socievole, il desiderio di bene proprio del singolo, di uno Stato o di una Comunità internazionale potrà essere soddisfatto soltanto nella condivisione del bene posseduto ... 
Pertanto generalmente oggi condividiamo il più possibile l'informazione, siamo informati, vogliamo informare ed essere informati.
Il punto critico relativo al "povero" servizio di informazione sta nell'attendibilità di chi da l'informazione, o come potremmo dire in altri termini è importante sapere se la persona che informa è credibile ed è incline  a essere nelle parole e nei fatti verace. 
La maggior parte delle persone concorderebbero nel dire che lo scambio di informazioni si basa su un rapporto di fiducia, sulla conoscenza dell'interlocutore, sulla sua fedeltà alla verità che lo riguarda e che trasmette per il bene del suo vicino: è chiaro che per il bene del vicino non è bene dire sempre, non è bene dire tutto ... le "asimmetrie informative" rimangono anche nelle "società informate".
Certamente chi si sente più capace avrà la possibilità e di conseguenza il dovere di informare il vicino per il bene di ciascuno, di entrambi e della società ... il suo impegno nella ricerca della verità e della buona informazione partirà da una fiducia in se stesso, nel bene e nel destinatario del messaggio, relativamente al buon uso che potrà farne.
Il desiderio legittimo e tutto umano di informazione sulle quantità (tangible asset) e sulle qualità (intangible asset) misurabili  e non,  potrà essere anticipato in un "laico comune" da un desiderio di informazione su ciò che riguarda tutto il Bene possibile, la Realtà, nella sua natura spirituale e materiale: nell'orizzonte della fede, ad esempio cristiana, ognuno può sentire un bisogno di informazione che gli consenta di uscire dal disordine vago delle idee e dei ricordi, per orientarsi all'ordine delle idee, nella novità di una visione e una missione chiara...sempre vissuta tra le cose materiali e nel riconoscimento del relativo valore.
Nella vita di fede, che è sempre un dono divino tra il cielo e la terra, si fa riferimento alla propria coscienza, all'autorità di Dio e ad una autorità esterna, che definisce per una maggiore certezza comune le verità che rientrano nell'orizzonte di quella fede: nella cristianità, ad esempio nella Chiesa Cattolica, l'autorità religiosa è stata riconosciuta come la legittima guida nella definizione del giusto sentiero da seguire, per vivere secondo la fede particolare e avere la salvezza in Cristo Gesù, vero Dio e vero Uomo, morto e risorto per la salvezza dell'uomo. 
Nel campo della fede si può essere "bene informati" ma sicuramente esiste una certa incompletezza, pur rimanendo con un atteggiamento di apertura, tra il desiderare e avere una informazione relativa alla fede (ad es. nella Chiesa Cattolica) e il vivere nella fede abitualmente, spontaneamente e volontariamente, in quella moderazione di vita che chiamiamo "virtù di fede". 
La fede "informe" e "informata", pertanto, consente all'intelletto di orientarsi al bene consapevolmente ma soltanto l'unione di amore con Dio nella fede "formata" consente alla volontà di agire nell'ordinario, perfino subendo il martirio, rimanendo stabilmente nella pace ...    

                    

martedì 17 settembre 2013

"e pur si muove"!

Se è vero che "non è possibile che una cosa sia e non sia nello stesso tempo e dallo stesso punto di vista", allora è possibile che una persona in momenti diversi possa dire qualcosa, che se dicesse nello stesso momento e dallo stesso punto di vista risulterebbe contraria o contraddittoria: "e pur si muove"!

Se si vuol dire qualcosa a interlocutori diversi con l'intento di comunicare qualcosa o voler persuadere su qualcosa, sicuramente sarà necessario utilizzare modalità di comunicazione diversa pur non perdendo di vista il contenuto del messaggio nella sua interezza: sta all'astuzia dell'interlocutore voler cogliere il senso del discorso e rispondere o agire in modo adeguato alle circostanze, sempre nella libertà di espressione o azione a cui segue una responsabilità personale relativa, nel bene o nel male, all'atto compiuto.

Il passare del tempo, a quanto pare, obbliga ciascun interlocutore sia in un colloquio a due che di gruppo a prendere posizione in modo determinato, chiaro e preciso: se si vuol tentare di mantenere un atteggiamento aperto al dialogo non è consigliabile cercare di difendere una posizione in modo "statico"; piuttosto, diventa necessario al fine di non perdere il "ruolo di interlocutore", più o meno privilegiato, difendere una posizione in modo "dinamico"... 

Ma cosa significa difendere una posizione? Che senso ha difendere un posizione? 

Evidentemente quando utilizziamo il termine "difesa" ci viene in mente un termine contrario come "attacco", ci può venire in mente il termine "rischio", "paura", o il termine "guerra"; in positivo pensiamo al termine "prudenza" o al termine "forza", al termine "giustizia" o "pace"... 

Se pensiamo al termine "posizione" si presentano a noi nella mente tanti campi del sapere in cui questo termine può assumere significati e valenze diverse. Ad esempio si parla di posizione nei giochi a due, nei giochi di società, nei discorsi privati e pubblici o politici, nell'economia relativamente alla distribuzione, vendita e "posizionamento" dei prodotti ... nei campi di guerra, tra gli "operatori di pace" ...

Molte volte, prima si dice una cosa e poi se ne dice un'altra ... e si sente dire: ma così "ti contraddici"! 
Molte volte si dice di fare una cosa e se ne fa un'altra ... e si sente dire: tu parli bene, ma alla fine "ti contraddici"! 

Quando nel dialogo un interlocutore va incontro alla contraddizione sembra che tutto si fermi: ma è possibile contraddirsi nel dialogo? è possibile contraddirsi quando tutto cambia?

Sembra che per fare un discorso semplice, lineare, fermo nella verità si debba escludere la possibilità di contraddirsi; allo stesso tempo però riscontriamo che nel nostro movimento vitale in modo accidentale o in modo sistematico, talvolta liberamente o volontariamente ci allontaniamo da un discorso semplice e lineare per cercare di comprendere la posizione dell'altro, siamo in grado di sospendere il giudizio sul "giusto" o "sbagliato", sul "vero" o "falso" che potremmo esprimere con certezza se fermassimo ogni atto in un momento storico preciso.

La "contraddizione pratica" potrebbe esistere, pertanto, soltanto se fermassimo il tempo!

Dal momento che a noi non è possibile farlo possiamo soltanto riscontrare rispetto ad una "posizione", un "proposito" o un "punto di vista", un certo allontanamento o "negazione temporanea" che potremmo misurare come "discreta" o "relativa" e soltanto fermando il tempo "assoluta".

Ad esempio se un angelo, con una natura spirituale non corporea e "non storica", può cadere in una "contraddizione pratica assoluta"; l'anima umana, invece, con una vitalità storica propria, che tende consapevolmente ad una condizione di libertà, qualora percepisse in coscienza di essere caduta in una "contraddizione pratica" rispetto ad un buon proposito preso, potrà nel tempo dare forza ad un movimento che conduca ad un comportamento tale da tendere nuovamente e consapevolmente al buon proposito fermo, prima negato, e così superare la "contraddizione pratica relativa".

Le autorità politiche o religiose più prudenti certamente sono consapevoli che per servire e salvare un popolo, restando fermi nella verità e nella giustizia, sia necessario dialogare in modo responsabile per comprendere la contraddizione e "riposizionarla nel tempo", sospendendo il giudizio quando è possibile, nella volontà degli interlocutori di tendere ad una posizione "relativamente vicina" a quegli ideali comuni che chiamiamo verità, giustizia e pace.         

    
  

giovedì 12 settembre 2013

...la vita dei solitari

Se la vita comune, la vita sociale nella sua dimensione politica ed economica è un bene per sé stessi e per l'altro, allo stesso tempo può essere un limite alla conoscenza ed alla realizzazione del singolo nella propria individualità. Sub-ordinare le finalità della vita privata alle finalità della sfera pubblica comporta certamente alcuni vantaggi dal punto di vista organizzativo: permette di finalizzare le attività dei singoli per un comune risultato, consente di ridurre gli sprechi di tempo ed energia al fine di ottenere il soddisfacimento di un fabbisogno comune, di godere nella condivisione pacifica di una maggiore quantità di beni e nel lungo termine garantisce maggiore stabilità.
Tuttavia molti sentono il bisogno di una vita solitaria ... dominando in un riposo contemplativo il bisogno di avere e organizzare, vivono di poco, alla ricerca di una beatitudine che si pone come alternativa, a volte necessaria, ai piaceri legittimi di cui si può godere in società, nella vita comune.
Nessuno impedisce la libera scelta della solitudine, anzi in fondo la maggior parte delle donne e degli uomini guarda con ammirazione chi sa andare per la propria strada "in solitaria": un certo stupore, una certa meraviglia incuriosisce e fa prendere coscienza del fatto che sia possibile a tutti e sia spesso un bisogno comune stare da soli, andare da soli.
Chi va da solo "provoca" in chi rimane nel gruppo sentimenti contrastanti: ammirazione e timore, fiducia e sfiducia, spirito di intraprendenza o rinuncia.
La "vita dei solitari" obbliga "involontariamente" la coscienza degli uomini di società a ripensare sé stessa, le proprie abitudini e i propri modelli di riferimento. Il solitario mostra davanti all'incertezza qualità straordinariamente comuni: prudenza, coraggio, prontezza, veracità, riflessività, equilibrio, giustizia, rispetto...
La vita dei solitari richiede seria preparazione, senza la quale sarebbe pericolosissima: se scandalizza i "ben pensanti", i "prudenti", gli "esperti", muove l'interiorità del vicino ad una maggiore riflessione, a maggiore calma, a maggiore discernimento. Se vissuta in modo equilibrato può diventare, anche per la vita comune, una via esemplare, "superiore" ... se nella conoscenza di sé, per esperienza e matura preparazione, allontana da quel comportamento talvolta riconoscibile nelle bestie e muove alla virtù intesa come pacifica tensione al giusto equilibrio tra gli eccessi, troppo spesso ritrovati nella vita di società. 
La vita "pura" dei solitari può offrire al loro ritorno al mondo il servizio più utile, se nello sciogliersi al Sole come neve scompare, impregnando le aridità della terra a cui da vita...

           

mercoledì 4 settembre 2013

per la sicurezza e la pace...non uccidere

Se ogni creatura è stata voluta con intelligenza da Dio e creata a sua immagine e somiglianza per la perfezione, ovvero il conseguimento della Beatitudine senza fine, personale e comunitaria in Dio, allora non è lecito all'uomo uccidere l'uomo. Secondo un ordine di giustizia l'uomo può avere sotto il suo dominio soltanto ciò che è per lui necessario e utile al mantenimento di una vita personale, familiare e comunitaria dignitosa. L'uomo può con intelligenza accordarsi con l'altro per il raggiungimento rispettoso e pacifico, anche se talvolta ingiusto, dell'obiettivo comune. L'interesse economico privato dev'essere pertanto sub-ordinato, per agire in modo "giusto", all'interesse familiare, comunitario e quindi pubblico. Il conseguimento della Beatitudine senza fine, se è riconosciuto l'orientamento di fondo da cui parto, si presenta per l'uomo come un diritto-dovere da esercitare per se stesso e per il bene della collettività, anche davanti all'eventualità che in modo ingiusto qualcuno si metta in opera per sopprimere tale diritto-dovere inviolabile, poiché innato e posto dal Creatore.
Un'autorità pubblica è chiamata a rispettare, promuovere e difendere il diritto-dovere alla Beatitudine senza fine di ogni uomo davanti alla prevaricazione di qualsiasi "piccola creatura ribelle" che in modo ingiusto e pericoloso possa agire contro la sicurezza della comunità intera e dei suoi singoli membri. In quale modo?
Se un privato non può sopprimere la vita di un simile "pericoloso", l'autorità pubblica in taluni casi può farlo per la sicurezza e il bene della comunità. Ma è giusto per esempio che alcuni paesi "buoni e forti" dichiarino guerra ad un "piccolo paese ribelle"? E' giusto che i cittadini di un paese governato in modo ingiusto rimangano vittime innocenti di un pericoloso carnefice? E' giusto che in uno scontro armato internazionale rischi la morte un numero di civili maggiore di quello, già a rischio, nel paese in crisi?
Escludendo la presenza di altri interessi privati che interferiscano con quelli prettamente umanitari, sembra che per un'autorità pubblica in certi casi possa essere giusto sacrificare la "parte malata" a vantaggio dell'intero corpo: allo stesso tempo potrebbe essere ingiusto, a seguito di interessi privati e non per il bene comune, intervenire con violenza rischiando di bruciare nel fuoco dell'ira il grano buono insieme alla zizzania che si era previsto di estirpare da sola. Il rischio che per motivi privati si creino danni gravi per il bene comune riporta l'uomo davanti il comando divino: non uccidere!
Il ministro delle cose del cielo, delle cose di Dio, o qualsiasi uomo "giusto" ha sempre il compito-dovere di ricordare che il bene comune è un interesse da anteporre al bene privato e che il bene spirituale è da considerare superiore al bene materiale ... la sapienza del diritto umano e divino ha reso giusto nella storia, attraverso la pratica intelligente e prudente della Pace, il rischioso cammino nella libera scelta tra la vita e la morte...
L'autorità pubblica è chiamata a scegliere responsabilmente per il bene comune, legittimamente anche con l'esercizio della forza; l'autorità religiosa è chiamata a ricordare ad ogni coscienza umana la propria dignità, perché nel servizio vicendevole e sapiente, con l'aiuto di Dio, si possa difendere in modo pacifico e responsabile il bene della comunità ... affinché non si perda neanche uno.      

           

martedì 27 agosto 2013

se non è utile ... è persona

Se tutto ciò che esiste è stato creato da un Dio con una intelligenza e una volontà perfetta, allora il creato (imperfetto) possiede in sé un certo grado di perfezione ed è stato voluto con intelligenza per la perfezione.
Uno degli elementi costitutivi della perfezione creata con intelligenza, per come a noi si manifesta, è l'ordine progressivo: tutto ciò che è stato creato, pertanto, partecipa in gradi diversi dell'ordine assoluto che lo ha di fatto posto in essere. Tutto tende secondo un certo grado e un ordine progressivo alla perfezione.
Nella creazione riconosciamo esseri o individui inanimati che comunemente chiamiamo "cose" ed esseri o individui animati (viventi) che distinguiamo genericamente per tipologia e grado di complessità strutturale in piante, animali, uomini. Ad oggi non si è ancora certi dell'esistenza degli "alieni", ma la loro possibile esistenza non risulta necessaria per elaborare riflessioni di carattere filosofico o teologico adeguate alla nostra natura: a noi non importa l'eventuale grado di perfezione dell' "alieno" rispetto alle altre creature, riconosciamo di fatto l'assurdo logico nel pensarlo come necessario alla realizzazione dell'atto creativo, compiuto nella nostra prospettiva soltanto da Dio in modo esclusivo e attuale o continuo.
Tornando a riflettere su ciò che ha vita, esclusa una "capacità fonetica" nella pianta, possiamo affermare che soltanto l'uomo ha il potere di esprimersi in un linguaggio articolato, complesso e formalizzato che vada oltre l'emissione di suono carica di significato ad esempio emessa da un cane o da un delfino. 
Soltanto l'uomo sembra possedere, nella nostra riflessione, una capacità di esprimersi e di correggersi in modo autocosciente nella parola, in modo intelligente e volontario per un fine: soltanto l'uomo, in quanto intelligente, può essere capace di esprimersi in un ragionamento e in un'azione per un fine descrittivo o dialettico.
Tornando a riflettere sulle "cose" inanimate, riconosciamo in esse una esistenza priva di autocoscienza, per l'assenza di una intelligenza e una volontà propria che lo manifestino. La capacità che ha una pietra o un pezzo di carbone di trattenere una forma di energia come il calore o di rilasciarla, per quanto manifesti in essa la presenza di qualcosa di unico, vero, bello, buono e utile allo stesso tempo manifesta una natura passiva limitata al trasferimento statico o dinamico dell'energia.
In questa prospettiva tutto ciò che esiste di inanimato e animato, compresa la persona, ha in sé qualcosa di unico di vero, di bello e di buono: soltanto ciò che nella creazione non è persona, e quindi è privo di una intelligenza e una volontà per partecipazione analoga a quella del Creatore, è uno strumento utile.
Si potrebbe obiettare a questo che gli atti dell'uomo sono utili al conseguimento del bene politico, economico, e sociale. 
Se ciascuna persona è tale per il possesso di una certa intelligenza e di una certa forza di volontà, allora potrà valutare di volta in volta l'utilità di un'azione nella consapevolezza che la persona è causa dell'atto, pur restando misteriosamente distinta dall'atto compiuto. Dell'atto compiuto rimane in essa soltanto una responsabilità limitata dal grado di libertà con cui l'atto è stato compiuto.
La persona rimane in se stessa un fine ordinato all'Assoluto, la "cosa" inanimata e animata rimane ordinata alla persona come strumento utile a un fine: la persona può essere subordinata a un'altra persona simile temporaneamente e soltanto nella giustizia, liberamente nel servizio, nel rispetto della sua intelligenza e volontà ordinate spontaneamente alla lode di Dio solo.
Nel mondo attuale rimane utilissimo anzi necessario, per evitare le guerre fratricide, difendere attraverso l'istruzione ciò che non è utile: la Persona a immagine e somiglianza dell'unico autentico fine, un Dio perfetta-relazione.         
  

martedì 13 agosto 2013

Pensiero, libertà e ideologia ... lobby

Se uno, alcuni, molti o tutti ... abbiamo la possibilità di pensare a ciò che è più comune come a qualcosa di unico, vero, bello e buono allora insieme sarà possibile riconoscere in ciò che esiste ciò che è essenziale e per tutti universalmente condivisibile ... 
Se molti sono in grado di riconoscere in tutto ciò che esiste qualcosa di unico, di vero, di bello e di buono difficilmente potranno dal punto di vista pratico fare delle scelte volte, ad esempio, alla esclusione di alcune persone per motivi di razza, condizione economica o pensiero politico.
Pensare ordinariamente a ciò che è più astratto, a ciò che è più comune, può diventare in alcuni casi l'unico modo per non perdere di vista ciò che nella vita pratica è essenziale, per cercare di agire di conseguenza con un atteggiamento proteso stabilmente alla moderazione e alla mediazione tra le scelte errate per difetto o per eccesso.
L'esercitarsi nella purezza del pensiero astratto, volto alla contemplazione di ciò è così com'è, pertanto, non allontana affatto dalla sollecitudine all'azione pratica ma consente di agire a partire da una visione chiara e distinta delle persone e delle cose, dei fatti e delle opinioni, dell'essenziale e dell'apparente, del bene e del male. 
Pensare (interessarsi) a ciò che è più comune può diventare per un singolo uomo un modo concreto per vivere e agire consapevolmente nella dipendenza da un principio di libertà, nei limiti della condizione umana; così, se molti pensano (si interessano) a ciò che è più comune, una società può consapevolmente orientarsi in modo spontaneo, pur nell'incostanza tipica dell'essere storico, ad un'azione comunitaria nella dipendenza da un principio di libertà politica.
La libertà individuale e politica si oppone di fatto alla prassi ideologica e lobbistica "esclusiva"...
Tutto dipende dalla scelta dell'uomo, tutto si risolve nell'elezione di un principio d'azione: il bene, la libertà, l'utile, il piacere?
Quale principio d'azione eleggere personalmente e comunitariamente? Quale gerarchia di valori preferire? In che ordine gerarchico convenzionalmente porre un principio comune?
Penso che un agire libero possa essere giusto, sul piano individuale come sul piano comunitario, soltanto se l'ideologia di riferimento o ordine di idee, procede gerarchicamente dal concetto più generale e astratto a quello particolare...quando l'agire individuale e politico procede, nella definizione gerarchica dei valori, da ciò che è più particolare ogni sforzo di tendere al generale si disperde.
Se le finalità pratiche elette spontaneamente e personalmente dai singoli appartenenti a gruppi di interesse avessero sistematicamente come valore di fondo negli stessi gruppi o lobby la libertà, intesa nella realizzazione del bene a partire da ciò che è più generale e più comune nell'ordine gerarchico dell'essere, probabilmente le singole persone, come le comunità politiche, potrebbero godere della soddisfazione che deriva dalla pratica della giustizia nel suo procedere gradualmente dal generale al particolare senza perdere mai di vista, a causa di interessi privati esclusivi, la "soprannaturale" tensione dinamica al bene comune.

        
    

venerdì 9 agosto 2013

in tutto ciò che esiste ...

C'è qualcosa di unico, di vero, di bello e di buono ... in tutto ciò che esiste.
Quante riflessioni possono essere fatte a partire da questa affermazione!

In tutto ciò che esiste, o meglio, in tutto ciò che esiste in quanto creato c'è qualcosa di unico, di vero, di bello e di buono. Quante domande? Cos'è l'esistenza? Cos'è la creazione? Cos'è qualcosa? Da queste domande emergono concetti fondamentali come realtà e vita, relazione e dipendenza, logica e contingenza ...

L'uomo, gli animali, gli insetti, i batteri, le piante ... la terra, il mare, il sole, gli astri o stelle, le costellazioni, le galassie hanno in sé per partecipazione qualcosa di unico, di vero, di bello e di buono.
Potremmo discutere se questa affermazione sia vera o falsa, se l'attribuzione di qualcosa di questi quattro concetti a ciò che esiste in quanto creato possa avere una significatività soggettiva o oggettiva.

Dal mio punto di vista, questi quattro attributi possono essere riferiti a ciò che esiste come creato, non nella misura dell'assoluto ma nella misura del qualcosa o del relativo: ciò che esiste come creato, di per sé esiste in una relazione di dipendenza da ciò che lo crea; ciò che crea, o meglio colui che crea (forse più in là vedremo perché) in quanto Creatore pone la relazione di dipendenza con la creatura.
L'assoluto pone in una relazione di dipendenza da sé ciò che è creato, come contingente e relativo all'assoluto che lo pone o crea.

Il punto di vista soggettivo e oggettivo tornano ad essere uno nell'atto della conoscenza: l'uomo può riconoscere qualcosa di unico, di vero di bello e di buono in ciò che è creato perché proietta idealmente l'attributo assoluto a colui che crea ... nell'ordine della ragione l'uomo pone una questione sulla possibilità della creazione, nell'ordine della fede l'uomo assume un dato rivelato che completa e realizza perfettamente l'intuizione originaria di una possibilità assoluta: essa può essere ragionevolmente umana soltanto se dipendente da un'attualità assoluta o divina.   

lunedì 5 agosto 2013

tutto sommato ... ancora ci penso

Sembra che la possibilità che ha l'uomo di riflettere, su di sé e su tutto ciò che esiste, possa essere riconosciuta come la più grande attività mai svolta ... sempre nuova, mai conclusa ... assolutamente comune!

Grandi pensatori hanno fatto scuola, tra questi poeti, filosofi e teologi, storici e scienziati ... e comuni pensatori. Uomini e donne di strada e di accademia si sono sempre confrontati liberamente nel dialogo nel dibattito e nel confronto, aperto e rispettoso, pur nella decisione di non lasciare informe un pensiero, una convinzione, una credenza ... 

Non solo ragione, cuore e ragione (prima il cuore)!

Che questo blog possa diventare luogo di confronto e di dialogo per tutti coloro che nel cuore sentono come me il bisogno di condividere un discorso: molte parole, molti pensieri sparsi formeranno un solo discorso ... Che le ragioni del cuore possano aiutare poeti, filosofi e teologi, scienziati e uomini e donne comuni a riflettere sulla Verità una e molteplice, che solo nel cuore si può riconoscere quando porta la pace ... solo la bellezza può svelare all'uomo il volto della Verità a cui nulla manca ... per questo motivo è eterno riposo, godimento e Amore. 

Riporto uno schema elaborato sulla summa teologica di Tommaso d'Aquino spero possa dare il via ad un dialogo aperto molteplice e uno su un'idea che il tempo non ha ancora del tutto svelato, l'idea di Dio luogo infinito in cui la rapidità del cambiamento trova il suo unico approdo...