Ecco la vocazione del credente silenzioso: dare tutto se
stesso, impegnare il proprio presente e il futuro perché la Parola di Dio
diventi carne e vita in Gesù. Giuseppe diviene così il custode di Maria e di
Gesù, sia nei momenti semplici sia in quelli difficili della vita
quotidiana della casa di Nazaret. Egli è accanto a Maria a Betlemme nel momento
trepidante del parto, nella circoncisione di Gesù e nella presentazione al
Tempio, nella fuga in Egitto, nella ricerca angosciata del figlio, che poi
ritrovano a Gerusalemme nel Tempio.
Non sappiamo altro di Giuseppe, il santo che ancora in
silenzio esce dalla scena del mondo: non è dato di conoscere nulla nemmeno
della sua morte, neanche quando sia avvenuta. È chiaro che, quando Gesù svolge
il suo ministero, Maria è ancora in vita (com'è testimoniato dai Vangeli),
mentre di Giuseppe non si dice più nulla: probabilmente già da tempo era
scomparso. Il santo silenzioso ha concluso, ancora una volta in silenzio, la
sua esistenza.
La vita di Giuseppe ci insegna a capire il linguaggio di
Dio: è il linguaggio del silenzio, e Dio parla davvero, misteriosamente, nel
silenzio. Non lo si può ascoltare nel frastuono della vita o nel rumore
assordante dei nostri giorni, ma solo nel raccoglimento e nella vita interiore.
Giuseppe ci insegna pure come aprire il cuore alla voce che
viene dall'alto. Accostarsi alla Parola vuol dire essere attenti alla propria
coscienza, alla chiamata che emerge misteriosamente dal silenzio. Significa
accogliere il Signore che ci incontra e ci interpella nella quotidianità; e
comporta il coraggio di affidarsi a lui piuttosto che credere ai nostri dubbi e
alle nostre pur legittime ragioni: pregare altro non è che contemplare la
presenza del Signore e vivere in comunione con lui.
Ed è nel silenzio e nel
mistero della coscienza che Dio si fa carne anche nella nostra vita, per essere
da noi donato ai fratelli. Giuseppe, nella semplicità, lo ha capito e lo ha
vissuto: per questo il suo silenzio è più eloquente di qualsiasi parola.
(La Civiltà Cattolica
165 (2014), n. 3939-3940, pp. 618-624)
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