martedì 20 gennaio 2015

riflettere sul Corano e lodare il sommo Bene


Per capire il significato storico, giuridico, teologico, religioso e culturale del Corano è conveniente lasciar parlare il testo stesso. Un bel numero di sure (i capitoli in cui il libro del Corano si divide, sono ben 114) lo presenta come il libro sacro che viene da Dio (cf. sure 3,4.7; 4,82; 6,114.155-157; 7,2; 18,1; 20,2-4; 21,50; 29,46-49; 32,2; 38,1-8; 40,2; 41,2.41-42; 42,17; 45,2; 46,2). In alcuni passi, poi, il sacro testo del Corano viene presentato come la “Madre del Libro”, cioè il prototipo (o meglio, in arabo, matrice) del Corano che è già presso Dio, quasi una sorta di Parola eterna che viene da Dio, l’Unico (cf. sure 13,39; 43,4; 56,77-78; 80,13-16; 85,21-22). Addirittura, si trovava già nei libri sacri degli antichi (cf. sura 26,196). Esso, infatti, conferma i libri precedenti, cioè l’AT e il NT (cf. sure 10,37; 12,111; 16,44).

Il Corano stesso, poi, offre altri elementi per descrivere il valore unico e sacro di questo testo che non appare rivelato o ispirato da Dio, bensì consegnato direttamente al profeta Maometto. È bene chiarire questo dato fin dall’inizio: nella visione islamica, non si parla di ispirazione né si riconosce l’autore umano, né si riduce il testo sacro a un’opera letteraria che è in qualche modo legata al genio dell’autore umano, all’artista-poeta o scrittore. Maometto, il sigillo dei profeti, lo ha ricevuto e trasmesso attraverso la recitazione orale e un processo di memorizzazione costante. Perciò, il Corano è, per eccellenza, “il Libro” composto da versetti sapienti e chiari (cf. sura 11,1) e fu rivelato per mezzo dell’angelo Gabriele (cf. sure 2,97; 26,210-211; 53,4-12). Non è inventato da Maometto né da altri (cf. sure 10,37; 11,13.35; 16,103; 25,4; 32,3; 46,8; 69,44-47). Anzi, Maometto, il lodato e bene amato, non ha mai recitato né copiato alcun altro libro religioso o considerato divino (cf. sura 29,48).

Per il suo carattere sacro, non è possibile che alcun essere umano cambi qualche parola o significato del Corano stesso (cf. sure 10,15; 18,27). Questo testo sacro svolge un ruolo fondamentale nella conoscenza di Dio, nella pratica del culto e nell'atteggiamento pratico del fedele musulmano. Infatti, il Corano non solo è luce e libro chiarissimo (cf. sure 5,15; 11,1; 12,1; 15,1; 26,2; 27,1; 28,2; 31,2; 45,20), e ancora sublime e glorioso (cf. sure 15,87; 50,1), ma è anche il criterio del bene e del male (cf. sure 3,4; 25,1), ed è la guida di Dio (cf. sure 7,203; 39,23). Per questo, il Corano contiene vari argomenti e ogni sorta di esempi affinché gli uomini se ne servano per la riflessione (cf. sura 17,41.89). Addirittura, il sacro Corano contiene tutti i segreti del cielo e della terra (cf. sura 27,75) ed è donato al credente per la recitazione e la sua memorizzazione (cf. sure 7.204; 16,198; 39,23; 73,4.20). La recitazione permette al credente di rifugiarsi in Dio e il suo ascolto intenerisce la pelle e il cuore al ricordo stesso di Dio. La recitazione esprime l’essenza del Corano e rinvia all'ascolto profondo della Parola divina. I musulmani affermano con insistenza il carattere sacro del Corano appellandosi alla bellezza dello stile e ai suoni che ne derivano dalla recitazione in arabo classico o antico.

Da queste semplici testimonianze del Corano ex-sese si comprende che accostarsi a questo testo sacro è possibile solamente accogliendo quella visione culturale e religiosa che è propria della cultura araba classica e poi della nascita dello stesso islam. Oggi è poco praticata, ad esempio, un’esegesi coranica più attenta al dato storico-critico e al senso letterale del testo. Anche se alcuni riformatori dell’islâm auspicano un tipo di studio esegetico sensibile ai contesti storico-culturali del tempo e alle analisi narrative del testo. Ciò per favorire un dialogo più proficuo e allo stesso tempo sereno con la modernità e con le scienze della filologia e dell’antropologia. Come pure per superare leggi e decreti che oggi non hanno più motivo d’essere rispetto alla società beduina che è alle origini dell’islâm e, perciò, dello stesso Corano. A volte, infatti, alcune interpretazioni fondamentaliste e fuori tempo del Corano dipendono da un certo irrigidimento di prospettive normative del testo sacro o di analisi lessicografiche per niente integrate con il contesto storico-culturale e socio-politico, nonché etico-religioso, in cui un detto, una sura, un passo del Corano è stato formulato.

[...]

Così recita la sura aprente che costituisce anche la preghiera più solenne dell’islâm, nonché segno d’invocazione inaugurale e di benedizione:

«Nel nome di Dio clemente e misericordioso. Lode a Dio, Signore dei mondi, il clemente, il misericordioso, sovrano del giorno del giudizio. Te adoriamo, te invochiamo in soccorso, guidaci al retto sentiero, al sentiero di coloro a cui tu hai largito la tua grazia, non di coloro che sono incorsi nella tua ira né di coloro che sono fuorviati» (1,1-7).

Un detto del Profeta appella il Corano con il titolo di “banchetto di Dio” e l’islâm come la “tenda di Dio”. Il banchetto e la tenda sono per tutti gli uomini: il Corano ci dice che Dio vuole parlare con gli uomini, ma nessuno è obbligato a rispondere. In tal senso, il Corano s’apre con una sura a carattere cosmico, l’Aprente, e si chiude con una sura a carattere antropologico, gli Uomini. Mentre l’Aprente (al-Fâtiḥa) è una resa di grazie al Signore dell’universo e una richiesta di guida per tutti gli uomini, l’ultima sura, gli Uomini (an-Nâs), afferma che Dio è l’unico e vero rifugio del credente. L’Aprente ci ricorda della lode e della gratitudine dovute a Dio per i suoi attributi d’infinita bontà e misericordia che contano molto di più nel giorno del giudizio. Dio è colui che ha potere su tutte le cose (cf. 19,96). Perché è l’Onnipotente. I fedeli, quindi, devono temerlo. Allâh è con chi lo teme. Tramite il timore di Dio, le azioni e le forze dei musulmani sono rivolte completamente ad Allâh. Da qui il senso dell’unicità e unità di Dio (tawḥîd). La parola “unico” ricorda ai musulmani che i loro cuori devono essere consacrati all’unico Dio che non ha posto nel corpo di nessun uomo due cuori (cf. 33,4). Dio è assoluto e, quindi, la devozione a lui dev’essere totalmente sincera. Allâh non ha associati.

L’immagine di Dio nel Corano è innanzitutto quella della luce e della speranza. È Dio che ha insegnato al Profeta la sapienza e la parola, e annuncia di essere lui stesso colui che la spiegherà. Dice Dio nel Corano: «Muḥammad, non muovere la lingua con essa per affrettarti. Certo a noi riunirlo e recitarlo. Seguine la recitazione quando noi lo recitiamo, poi spetta a noi spiegarlo» (75,16-20).

Il contenuto della dottrina coranica riguarda essenzialmente il Dio unico: Allâh. Questi è il Dio supremo in senso monoteistico. Si è già accennato, a proposito delle tappe rivelative di Maometto, dei caratteri fondamentali della divinità: la bontà-misericordia (la clemenza) e l’onnipotenza. La bontà di Dio è rapportata alla sua funzione di Creatore: egli conosce la nostra debolezza strutturale, ontologica. L’uomo è debole, fragile, perché tende a moltiplicarsi, a frantumarsi: perché il suo essere è diviso. L’originaria creazione del mondo non è rappresentata con particolari, né Adamo è inserito all’interno dei sei giorni biblici della creazione divina.

Una descrizione più dettagliata della creazione è presente in 41,9-12: mai, però, in modo sistematico e continuativo. Adamo è stato creato dalla terra, da un grumo di sangue (cf. 3,59). Dio crea per libera decisione, per volontà (cf. 40,68). Importante è il riferimento all’azione creatrice permanente di Dio: rivela la sua onnipotenza. Dio, poi, agisce anche attraverso le azioni umane (cf. 8,17); lo stesso potere umano, la volontà, è nelle mani d’Allâh (cf. 37,96; 76,30). Queste affermazioni, tuttavia, non permettono di elaborare un piano teologico o antropologico esaustivo e sistematico: perché concezioni diverse appaiono nel Corano. L’uomo, infatti, è libero e pure non lo è: Allâh lo guida se egli si lascia guidare, però lo porta anche dove vuole. Allâh, infatti, non guida coloro che non vogliono credere ai segni (cf. 16,104). Ci sono verità complementari nel Corano a proposito della responsabilità dell’uomo dinanzi a Dio e dell’onnipotenza divina. Il senso di azioni predestinate è tipico della mentalità beduina pre-islamica. Allâh è colui che governa direttamente il mondo e non mediante cause secondo. Gli stessi fenomeni naturali e quelli dovuti all’attività dell’uomo diventano tutti segni d’Allâh.

Alla domanda “Chi è Dio veramente?”, si può rispondere con la sura 2,21-22.163:

«O uomini! Adorate il vostro Signore che ha creato voi e quelli che furono prima di voi, e così forse diventerete timorati di Dio. È lui che vi ha fatto della terra un tappeto e del cielo una volta; è lui che dal cielo fa scendere l’acqua per far nascere dalla terra i frutti che vi sostentano. Non adorate dunque altri dèi insieme a lui, voi che conoscete la verità! […]. Il vostro Dio è un Dio unico. Non c’è divinità all’infuori di lui, il Clemente, il Misericordioso».


In 3,18 è ribadita l’unicità di Dio:

«Dio stesso è testimone che non c’è divinità all’infuori di lui, e ne sono testimoni anche gli angeli e chi possiede la vera scienza. Essi dicono: “Dio governa con giustizia. Non c’è divinità all’infuori di lui, il Potente, il Saggio!”».

Allâh è il Dio unico che si eleva al di sopra degli altri idoli. Qui il monoteismo coranico riprende quello ebraico e si spinge più avanti, in polemica con la visione cristiana di Dio. Non vi è la possibilità di riconoscere in Allâh una funzione procreativa, o di paternità. Il tema delle figlie d’Allâh (banât Allâh) permette di scagliarsi contro gli idolatri meccani per negare con la stessa alterigia disdegnosa che egli abbia potuto avere figli. Il medesimo nome d’Allâh rende inammissibile il plurale “divinità” (âliha), salvo che per stigmatizzare l’inanità degli dèi che i pagani o gli oppositori s’ostinano a invocare. La sura del “culto sincero”, nominata anche “dell’Eterno” o “dell’Unità divina”, rafforza il mistero dell’unicità di Dio. La tradizione dichiara di essere stata rivelata in risposta a una domanda di alcuni ebrei sulla natura divina. Il contenuto è decisamente antitrinitario: «Di’: “Egli Dio, è uno! Dio, l’Eterno! Non generò né fu generato, e nessuno gli è pari!» (112,1-4).

Il senso del verbo “generare” è “fisico”, “carnale”, come risulta chiaro anche dalla sura 6,100-102. C’è un modo errato d’intendere la paternità divina e la filiazione. Di là del problema strettamente dialogico, ci preme sottolineare il senso dell’unicità divina (tawḥîd) nell’islâm, visto che la sura 112 è un po’ il cuore della dottrina coranica. I musulmani la definiscono come la sura “della purezza” o anche “della fede pura”. È ritenuta rivelata alla Mecca ed è ventiduesima nell’ordine cronologico. Il suo nome âl-îkhlâṣ deriva dal radicale kh-l-ṣ e riprende il verbo di prima forma khalaṣa: “essere sincero”, “puro”, “leale”, “fedele”. La professione di fede monoteista è una scienza: la sincerità ne è la base e la fedeltà, invece, ne costituisce la condizione. In effetti, la fede in Allâh come “Dio unico e uno” è il primo articolo della professione di fede islamica (la šahâda). Dio appare, così, come la somma grandezza cosmica e non può essere colto da nessuna speculazione filosofica o teologica. Egli è unico nella sua essenza: non si divide, né si moltiplica. Per cui, nulla e nessuno gli può essere pari. Egli stabilisce il corso della vita e delle cose nel mondo: in lui si fondono vita e potenza, unità e unicità. Non essendo generato, non è nemmeno mortale, né debole. Egli regna di eternità in eternità e fa tramontare e di nuovo rinascere. Allâh è infinitamente perfetto perché possiede in misura piena tutte le buone qualità. È immutabile, giusto, saggio, amorevole, onnipresente, onnisciente, onnipotente, veritiero in sommo grado. È l’unico ideale infallibile, che non delude alcun uomo e non arreca tormenti all’anima. Allâh non assomiglia né alla natura viva né a quella morta. Né l’occhio né la mente lo possono cogliere. Tuttavia, all’uomo è più vicino delle arterie (cf. 50,15).

Il Corano riporta i 99 bei nomi di Dio che sono propriamente le sue qualità: un solo nome non permetterebbe di cogliere la sua potenza né l’essenza. Allâh agisce secondo il principio della giustizia. S’afferma, perciò, un rigido monoteismo a sfondo etico: Dio ripaga secondo le proprie azioni. Un simbolo con cui il Corano presenta il mistero d’Allâh è quello della luce. Dio è luce del cielo e della terra (cf. 24,35): chi ha fede tende a questa luce cosmica, e rivestirsi delle qualità divine significa rendersi degno rappresentante di Dio sulla terra. L’unicità di Dio ha degli effetti molto pratici sul credente: esige l’abbandono, la fiducia in lui. Il senso della vita, secondo la dottrina islamica, consiste nell’avvicinare quanto più possibile la perfezione relativa dell’uomo alla perfezione assoluta di Dio. In virtù della sua unicità, Allâh non subisce le nostre azioni. Il tema del pathos, tipicamente biblico, è assente dal Corano. Non si conosce neanche il fine ultimo della creazione. Si sa che Dio ha creato senza stancarsi (cf. 10,3; 20,5), e ha voluto gli uomini e gli jinn per la sua lode (cf. 51,56). Continua, inoltre, a creare cose nuove (cf. 16,8; 35,1; 55,29), ed è perfetto nelle sue opere (cf. 67,3). I caratteri più importanti di Dio riguardano la sua onnipotenza, onniscienza e misericordia.
  
Prof. Edoardo Scognamiglio
Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Napoli
http://www.centrostudifrancescani.it/site/2009/10/il-sacro-testo-del-corano-storia-esegesi-e-teologia/

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