Nella giustizia distributiva viene attribuito qualche cosa,
come abbiamo visto, a delle persone private,
in quanto ciò che è proprio del
tutto è dovuto alle parti.
E l'attribuzione è tanto più grande,
quanto la parte
ha maggiore importanza nel tutto.
Ecco perché nella giustizia distributiva
a
una persona vien dato tanto del bene comune
quanto è maggiore la sua importanza
nella collettività.
La quale importanza in uno stato aristocratico è valutata
in base alla virtù,
in una oligarchia è valutata in base alle ricchezze,
e in
una demagogia in base alla semplice libertà;
e così via.
Perciò nella giustizia
distributiva il giusto mezzo
non viene determinato secondo l'equivalenza di una
cosa con un'altra,
ma secondo una proporzionalità delle cose alle persone:
cosicché,
come una persona è superiore all'altra,
così le cose che vengono date a una
persona
sono superiori a quelle date ad un'altra.
Ecco perché il Filosofo
scrive
che tale giusto mezzo è secondo la "proporzionalità
geometrica",
in cui l'equivalenza non è fondata sulla quantità, ma su una
proporzione;
come quando diciamo che 6 sta a 4, come 3 sta a 2.
Poiché in tutti
e due i casi abbiamo una proporzione sesquialtera,
in cui il numero maggiore
contiene il minore una volta e mezzo;
mentre manca un'equivalenza tra le
rispettive eccedenze,
ché il 6 supera il 4 di due, invece il 3 supera il 2 di
1.
Al contrario nelle permute, o commutazioni,
a una singola
persona viene contraccambiato qualcosa
per un bene che le apparteneva:
com'è
evidente specialmente nella compravendita,
da cui si è formato per primo il
concetto di commutazione.
Ecco perché qui bisogna adeguare cosa a cosa:
in modo
che quanto uno ha in più, per averlo ricevuto da un altro,
lo restituisca tutto
al legittimo padrone.
In tal modo si ha un'equivalenza secondo un giusto mezzo
"aritmetico",
fondata sull'uguaglianza quantitativa tra avanzo e
disavanzo:
il 5, p. es., è il giusto mezzo tra il 6 e il 4.
Perciò se in
principio due persone avevano entrambe 5,
e una di esse ha ricevuto 1 dall'altra,
il primo avrà 6 e l'altro rimarrà con 4.
Si avrà dunque giustizia se entrambi
vengano ricondotti al giusto mezzo,
prendendo 1 da chi aveva 6, e dandolo a chi
era rimasto con 4:
e allora entrambi avranno 5, che è appunto il giusto mezzo.
Nelle altre virtù morali il giusto mezzo viene determinato
secondo la ragione e non secondo le cose.
Invece nella giustizia abbiamo un
giusto mezzo reale:
ecco perché il giusto mezzo va determinato
in base alla
diversità delle cose.
La forma universale della giustizia è l'uguaglianza,
nella
quale la giustizia distributiva concorda con quella commutativa.
Nella prima
però abbiamo l'uguaglianza basata
su una proporzionalità geometrica,
nella
seconda su una proporzionalità aritmetica.
Negli atti e nelle passioni umane
la condizione di persona
incide sulla grandezza di una cosa:
è infatti un'ingiuria più grave percuotere
chi comanda
che percuotere una persona privata.
E quindi la condizione di
persona nella giustizia distributiva
è considerata direttamente per se stessa;
invece nella giustizia commutativa
è considerata solo in quanto essa
differenzia le cose.
San Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.61, a.2
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