domenica 2 agosto 2015

... per un fine necessario e onesto

È proprio dei commercianti dedicarsi agli scambi delle merci. 
Ora, come nota il Filosofo, ci sono due tipi di scambi. 

C'è uno scambio quasi naturale e necessario: 
in cui c'è la permuta tra merce e merce,
 oppure tra merce e denaro, per le necessità della vita. 
E tale scambio propriamente non appartiene ai commercianti, 
ma piuttosto ai capi famiglia e ai governanti, 
i quali hanno il compito di provvedere la loro casa, 
o il loro stato delle cose necessarie alla vita. 

Invece l'altra specie di scambio è tra denaro e denaro, 
o tra qualsiasi merce e denaro: 
non per provvedere alle necessità della vita, 
ma per ricavarne un guadagno. 
E questo tipo di traffico è proprio dei commercianti. 

Ebbene, secondo il Filosofo il primo tipo di scambi è degno di lode: 
poiché soddisfa a una esigenza naturale. 

Il secondo invece è giustamente vituperato: 
poiché di suo soddisfa la cupidigia del guadagno, 
che non conosce limiti, e tende all'infinito. 

Perciò, considerato in se stesso, 
il commercio ha una certa sconvenienza: 
in quanto nella sua natura non implica un fine onesto e necessario.

Sebbene però il guadagno, che è il fine del commercio, 
non implichi un elemento di onestà e di necessità, 
tuttavia non implica nella sua natura niente di peccaminoso e di immorale. 

Perciò niente impedisce di ordinare il guadagno 
a qualche fine necessario e onesto. 

E in tal caso il commercio è lecito. 
Come quando uno ordina il modesto guadagno 
cercato nel commercio al sostentamento della propria famiglia, 
o a soccorrere gli indigenti: 

oppure quando uno si dedica al commercio per l'utilità pubblica, 
cioè perché nella sua patria non manchino le cose necessarie; 
e quando si ha di mira il guadagno non come fine, 
ma come compenso del proprio lavoro.

[...]

I chierici non solo devono astenersi 
dalle cose che sono intrinsecamente cattive, 
ma anche da quelle che hanno l'apparenza del male. 

E questo si verifica nel commercio, 
sia perché è ordinato a un guadagno materiale, 
che i chierici devono disprezzare; 
sia per i molteplici vizi dei commercianti; 

poiché, come dice l'Ecclesiastico, 
"difficilmente il negoziante si libera dai peccati di lingua". 

E c'è una seconda ragione: 
perché il commercio lega troppo l'animo alle cose secolaresche, 
e quindi lo distoglie da quelle spirituali. 

Ecco perché l'Apostolo ammonisce: 
"Nessuno che militi per Dio s'impiccia degli affari del secolo". 

Ai chierici però è lecito il primo tipo di scambi, 
cioè quelli che sono ordinati, nella compravendita, 
alle necessità della vita.

San Tommaso d'Aquino, Summa Teologica, II-II, q.77, a.4

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