È proprio dei commercianti dedicarsi agli scambi delle merci.
Ora, come nota il Filosofo, ci sono due tipi di scambi.
C'è uno scambio quasi naturale e necessario:
in cui c'è la permuta tra merce e merce,
oppure tra merce e denaro, per le necessità della vita.
E tale scambio propriamente non appartiene ai commercianti,
ma piuttosto ai capi famiglia e ai governanti,
i quali hanno il compito di provvedere la loro casa,
o il loro stato delle cose necessarie alla vita.
Invece l'altra specie di scambio è tra denaro e denaro,
o tra qualsiasi merce e denaro:
non per provvedere alle necessità della vita,
ma per ricavarne un guadagno.
E questo tipo di traffico è proprio dei commercianti.
Ebbene, secondo il Filosofo il primo tipo di scambi è degno di lode:
poiché soddisfa a una esigenza naturale.
Il secondo invece è giustamente vituperato:
poiché di suo soddisfa la cupidigia del guadagno,
che non conosce limiti, e tende all'infinito.
Perciò, considerato in se stesso,
il commercio ha una certa sconvenienza:
in quanto nella sua natura non implica un fine onesto e necessario.
Sebbene però il guadagno, che è il fine del commercio,
non implichi un elemento di onestà e di necessità,
tuttavia non implica nella sua natura niente di peccaminoso e di immorale.
Perciò niente impedisce di ordinare il guadagno
a qualche fine necessario e onesto.
E in tal caso il commercio è lecito.
Come quando uno ordina il modesto guadagno
cercato nel commercio al sostentamento della propria famiglia,
o a soccorrere gli indigenti:
oppure quando uno si dedica al commercio per l'utilità pubblica,
cioè perché nella sua patria non manchino le cose necessarie;
e quando si ha di mira il guadagno non come fine,
ma come compenso del proprio lavoro.
[...]
I chierici non solo devono astenersi
dalle cose che sono intrinsecamente cattive,
ma anche da quelle che hanno l'apparenza del male.
E questo si verifica nel commercio,
sia perché è ordinato a un guadagno materiale,
che i chierici devono disprezzare;
sia per i molteplici vizi dei commercianti;
poiché, come dice l'Ecclesiastico,
"difficilmente il negoziante si libera dai peccati di lingua".
E c'è una seconda ragione:
perché il commercio lega troppo l'animo alle cose secolaresche,
e quindi lo distoglie da quelle spirituali.
Ecco perché l'Apostolo ammonisce:
"Nessuno che militi per Dio s'impiccia degli affari del secolo".
Ai chierici però è lecito il primo tipo di scambi,
cioè quelli che sono ordinati, nella compravendita,
alle necessità della vita.
San Tommaso d'Aquino, Summa Teologica, II-II, q.77, a.4
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