martedì 4 ottobre 2016

La luce nella città degli uomini (2)

54. Assimilata e approfondita in famiglia, 
la fede diventa luce per illuminare tutti i rapporti sociali. 

Come esperienza della paternità di Dio 
e della misericordia di Dio, 
si dilata poi in cammino fraterno. 

Nella "modernità" si è cercato di costruire 
la fraternità universale tra gli uomini, 
fondandosi sulla loro uguaglianza. 

A poco a poco, però, abbiamo compreso che questa fraternità, 
privata del riferimento a un Padre comune 
quale suo fondamento ultimo, 
non riesce a sussistere. 

Occorre dunque tornare alla vera radice della fraternità. 
La storia di fede, fin dal suo inizio, 
è stata una storia di fraternità, anche se non priva di conflitti. 

Dio chiama Abramo ad uscire dalla sua terra 
e gli promette di fare di lui un’unica grande nazione, 
un grande popolo, sul quale riposa la Benedizione divina (cfr Gen 12,1-3). 

Nel procedere della storia della salvezza, 
l’uomo scopre che Dio vuol far partecipare tutti, 
come fratelli, all'unica benedizione, 
che trova la sua pienezza in Gesù, affinché tutti diventino uno. 

L’amore inesauribile del Padre ci viene comunicato, 
in Gesù, anche attraverso la presenza del fratello. 

La fede ci insegna a vedere 
che in ogni uomo c’è una benedizione per me, 
che la luce del volto di Dio 
mi illumina attraverso il volto del fratello. 

Quanti benefici ha portato 
lo sguardo della fede cristiana alla città degli uomini 
per la loro vita comune! 

Grazie alla fede abbiamo capito 
la dignità unica della singola persona, 
che non era così evidente nel mondo antico. 

Nel secondo secolo, il pagano Celso 
rimproverava ai cristiani quello che a lui pareva 
un’illusione e un inganno: 

pensare che Dio avesse creato il mondo per l’uomo, 
ponendolo al vertice di tutto il cosmo. 

Si chiedeva allora: 
« Perché pretendere che [l’erba] cresca per gli uomini, 
e non meglio per i più selvatici degli animali senza ragione? », 

« Se guardiamo la terra dall’alto del cielo, 
che differenza offrirebbero le nostre attività 
e quelle delle formiche e delle api? ». 

Al centro della fede biblica, 
c’è l’amore di Dio, la sua cura concreta per ogni persona, 
il suo disegno di salvezza che abbraccia tutta l’umanità 
e l’intera creazione e che raggiunge il vertice 
nell’Incarnazione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. 

Quando questa realtà viene oscurata, 
viene a mancare il criterio per distinguere 
ciò che rende preziosa e unica la vita dell’uomo. 

Egli perde il suo posto nell’universo, 
si smarrisce nella natura, 
rinunciando alla propria responsabilità morale, 
oppure pretende di essere arbitro assoluto, 
attribuendosi un potere di manipolazione senza limiti.

55. La fede, inoltre, nel rivelarci l’amore di Dio Creatore, 
ci fa rispettare maggiormente la natura, 
facendoci riconoscere in essa una grammatica da Lui scritta 
e una dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita; 

ci aiuta a trovare modelli di sviluppo 
che non si basino solo sull'utilità e sul profitto, 
ma che considerino il creato come dono, 
di cui tutti siamo debitori; 

ci insegna a individuare forme giuste di governo, 
riconoscendo che l’autorità viene da Dio 
per essere al servizio del bene comune. 

La fede afferma anche la possibilità del perdono, 
che necessita molte volte di tempo, 
di fatica, di pazienza e di impegno; 

perdono possibile se si scopre che il bene 
è sempre più originario e più forte del male, 
che la parola con cui Dio afferma la nostra vita 
è più profonda di tutte le nostre negazioni. 

Anche da un punto di vista semplicemente antropologico, 
d’altronde, l’unità è superiore al conflitto; 
dobbiamo farci carico anche del conflitto,
 ma il viverlo deve portarci a risolverlo, a superarlo, 
trasformandolo in un anello di una catena, in uno sviluppo verso l’unità.

Quando la fede viene meno, 
c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere 
vengano meno, come ammoniva il poeta T. S. Eliot: 

« Avete forse bisogno che vi si dica 
che perfino quei modesti successi / 
che vi permettono di essere fieri di una società educata / 
difficilmente sopravviveranno alla fede 
a cui devono il loro significato? ». 

Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, 
si affievolirà la fiducia tra di noi, 
ci terremmo uniti soltanto per paura, 
e la stabilità sarebbe minacciata. 

La Lettera agli Ebrei afferma: 
« Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. 
Ha preparato infatti per loro una città » (Eb 11,16). 

L’espressione "non vergognarsi" 
è associata a un riconoscimento pubblico. 

Si vuol dire che Dio confessa pubblicamente, 
con il suo agire concreto, la sua presenza tra noi, 
il suo desiderio di rendere saldi i rapporti tra gli uomini. 

Saremo forse noi a vergognarci di chiamare Dio il nostro Dio? 
Saremo noi a non confessarlo come tale nella nostra vita pubblica, 
a non proporre la grandezza della vita comune 
che Egli rende possibile? 

La fede illumina il vivere sociale; 
essa possiede una luce creativa 
per ogni momento nuovo della storia, 
perché colloca tutti gli eventi in rapporto 
con l’origine e il destino di tutto 
nel Padre che ci ama.

Papa Francesco, Lumen Fidei (29 Giugno 2013), n° 54-55
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/
papa-francesco_20130629_enciclica-lumen-fidei.html

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