martedì 2 maggio 2017

cura del corpo ... per un fine onesto

... uno può essere detto prudente in due modi diversi:

primo, in senso assoluto, cioè rispetto al fine di tutta la vita; 
secondo, in senso relativo, cioè in rapporto a un fine particolare: 
come uno può essere p. es. prudente nel commercio o in altre cose del genere.

Se quindi parliamo della prudenza della carne 
intendendo il termine prudenza in senso assoluto, 
cioè nel senso che uno mette il fine ultimo 
di tutta la vita nella cura della propria carne, 
 allora questa prudenza è un peccato mortale: 

poiché ciò allontana l'uomo da Dio essendo impossibile, 
come si è visto in precedenza 
[I-II, q. 1, a. 5], 
che ci siano più fini ultimi.

Se invece si parla della prudenza della carne 
come di una prudenza particolare, allora è un peccato veniale.

Talora infatti capita che uno si lasci prendere da certi gusti della carne 
senza però allontanarsi da Dio col peccato mortale: 
per cui egli non mette il fine di tutta la vita nelle soddisfazioni della carne.

Industriarsi quindi per raggiungere queste soddisfazioni è un peccato veniale, 
e rientra nella prudenza della carne.

Se poi uno subordina esplicitamente la cura del corpo a un fine onesto, 
p. es. quando attende a nutrirsi per sostentarlo, 
allora non è il caso di parlare di prudenza della carne: 
poiché in tal caso la cura della propria carne è ordinata al suo fine. 

S.T. II-II, q. 55, a. 2

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