Lo stato religioso,
come si è visto [q. 186, a. 1, s. c.; a. 7, ad 1],
è ordinato a raggiungere la perfezione della carità.
Ora, questa consiste principalmente nell'amore di Dio,
ma secondariamente anche nell'amore del prossimo.
Perciò i religiosi devono attendere soprattutto alle cose di Dio.
Quando però la necessità degli altri lo esige,
essi devono trattare per carità anche i loro affari,
secondo le parole di S. Paolo [Gal 6, 2]:
"Portate i pesi gli uni degli altri,
e così adempirete la legge di Cristo";
poiché servendo il prossimo per il Signore
non si fa che assecondare l'amore di Dio.
Da cui le parole di S. Giacomo [1, 27]:
"Una religione pura e senza macchia
davanti a Dio nostro Padre è questa:
soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni";
"cioè", come dice la Glossa [interlin.],
"soccorrere in caso di necessità quelli che sono privi di aiuto".
Si deve quindi concludere che né ai monaci né ai chierici
è lecito trattare affari secolari per cupidigia.
Essi possono invece interessarsene moderatamente
per motivi di carità, e con il permesso dei superiori,
accettando sia compiti esecutivi, sia compiti direttivi.
Nei Canoni [Decretales 1, 88, 1] infatti si legge:
"Il santo Concilio ordina che in avvenire nessun chierico
possa amministrare i fondi, o immischiarsi in affari secolari,
se non per assistere i minorenni, gli orfani e le vedove;
oppure nel caso che il suo vescovo
lo incarichi di amministrare i beni ecclesiastici".
Ora, ciò che è detto per i chierici vale anche per i religiosi:
poiché agli uni e agli altri sono ugualmente proibiti gli affari secolari.
Soluzione delle difficoltà:
1. Ai monaci è proibito trattare gli affari del secolo per cupidigia,
non già per motivi di carità.
2. Non è curiosità, ma carità,
immischiarsi negli affari quando è necessario.
3. Non compete ai religiosi frequentare le corti dei re per le comodità,
per la gloria o per la cupidigia:
entrarvi però per cause pie fa parte della loro missione.
Si legge infatti che [il profeta] Eliseo [2 Re 4, 13]
disse alla Sunammita:
"C'è forse bisogno di intervenire in tuo favore presso il re,
oppure presso il capo dell'esercito?".
Così pure è lecito ai religiosi entrare nelle corti dei re
per rimproverarli, o per consigliarli:
come si legge di S. Giovanni Battista
che rimproverò Erode [Mt 14, 4].
S.T. II-II, q. 187, a. 2
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