lunedì 1 maggio 2017

religione pura ... per carità


Lo stato religioso, 
come si è visto [q. 186, a. 1, s. c.; a. 7, ad 1], 
è ordinato a raggiungere la perfezione della carità. 

Ora, questa consiste principalmente nell'amore di Dio, 
ma secondariamente anche nell'amore del prossimo. 

Perciò i religiosi devono attendere soprattutto alle cose di Dio. 

Quando però la necessità degli altri lo esige, 
essi devono trattare per carità anche i loro affari, 
secondo le parole di S. Paolo [Gal 6, 2]: 

"Portate i pesi gli uni degli altri, 
e così adempirete la legge di Cristo"; 
poiché servendo il prossimo per il Signore 
non si fa che assecondare l'amore di Dio. 

Da cui le parole di S. Giacomo [1, 27]: 

"Una religione pura e senza macchia 
davanti a Dio nostro Padre è questa: 
soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni"; 

"cioè", come dice la Glossa [interlin.], 
"soccorrere in caso di necessità quelli che sono privi di aiuto". 

Si deve quindi concludere che né ai monaci né ai chierici 
è lecito trattare affari secolari per cupidigia. 

Essi possono invece interessarsene moderatamente 
per motivi di carità, e con il permesso dei superiori, 
accettando sia compiti esecutivi, sia compiti direttivi. 

Nei Canoni [Decretales 1, 88, 1] infatti si legge: 

"Il santo Concilio ordina che in avvenire nessun chierico 
possa amministrare i fondi, o immischiarsi in affari secolari, 
se non per assistere i minorenni, gli orfani e le vedove; 

oppure nel caso che il suo vescovo 
lo incarichi di amministrare i beni ecclesiastici". 

Ora, ciò che è detto per i chierici vale anche per i religiosi: 
poiché agli uni e agli altri sono ugualmente proibiti gli affari secolari. 

Soluzione delle difficoltà: 

1. Ai monaci è proibito trattare gli affari del secolo per cupidigia, 
non già per motivi di carità. 

2. Non è curiosità, ma carità, 
immischiarsi negli affari quando è necessario. 

3. Non compete ai religiosi frequentare le corti dei re per le comodità, 
per la gloria o per la cupidigia: 
entrarvi però per cause pie fa parte della loro missione. 

Si legge infatti che [il profeta] Eliseo [2 Re 4, 13] 
disse alla Sunammita: 
"C'è forse bisogno di intervenire in tuo favore presso il re, 
oppure presso il capo dell'esercito?". 

Così pure è lecito ai religiosi entrare nelle corti dei re 
per rimproverarli, o per consigliarli: 
come si legge di S. Giovanni Battista 
che rimproverò Erode [Mt 14, 4].

S.T. II-II, q. 187, a. 2 

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