mercoledì 24 maggio 2017

fine ultimo: la felicità comune


Si è già notato [a. prec.] che la legge 
appartiene al principio delle azioni umane, 
essendo la loro regola o misura

Ora, come la ragione è il principio degli atti umani, 
così nella ragione stessa si trova qualcosa 
che è principio rispetto agli altri elementi. 

E ad esso soprattutto e principalmente deve mirare la legge. 

Ora nel campo operativo, che interessa la ragione pratica, 
il primo principio è il fine ultimo. 

Ma sopra [q. 2, a. 7; q. 3, a. 1; q. 69, a. 1] 
si è visto che il fine ultimo della vita umana 
è la felicità, o beatitudine. 

Perciò la legge deve riguardare soprattutto l'ordine alla beatitudine. 

Essendo però ogni parte ordinata al tutto, 
come ciò che è imperfetto alla sua perfezione, 
ed essendo ogni uomo parte di una comunità perfetta, 
è necessario che la legge riguardi propriamente l'ordine alla felicità comune.
 
Per cui anche il Filosofo,
 nella definizione riferita della legge [cf. s.c.], 
accenna sia alla felicità che alla comunità politica

Infatti egli scrive [Ethic. 5, 1] che 
"i rapporti legali vengono considerati giusti 
perché costituiscono e conservano la felicità 
e ciò che ad essa appartiene, mediante la solidarietà politica". 

Infatti la comunità o società perfetta è quella politica, 
come insegna ancora Aristotele [Polit. 1, 1]. 

Ora, in ogni genere di valori 
il soggetto perfetto al grado massimo 
è principio o causa di quanti ne partecipano, 
in modo che questi vengono denominati in rapporto ad esso: 

come il fuoco, che è caldo al massimo, 
è causa del calore nei corpi misti, 
i quali si dicono caldi nella misura in cui partecipano del fuoco. 

Perciò è necessario che la legge venga denominata specialmente 
in rapporto al bene comune, 
dal momento che ogni altro precetto 
riguardante questa o quell'azione singola 
non riveste natura di legge se non in ordine al bene comune. 

Perciò ogni legge è ordinata al bene comune.

S.T. I-II, q. 90, a. 2

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