Si è già notato [a. prec.] che la legge
appartiene al principio delle azioni umane,
essendo la loro regola o misura.
Ora, come la ragione è il principio degli atti umani,
così nella ragione stessa si trova qualcosa
che è principio rispetto agli altri elementi.
E ad esso soprattutto e principalmente deve mirare la legge.
Ora nel campo operativo, che interessa la ragione pratica,
il primo principio è il fine ultimo.
Ma sopra [q. 2, a. 7; q. 3, a. 1; q. 69, a. 1]
si è visto che il fine ultimo della vita umana
è la felicità, o beatitudine.
Perciò la legge deve riguardare soprattutto l'ordine alla beatitudine.
Essendo però ogni parte ordinata al tutto,
come ciò che è imperfetto alla sua perfezione,
ed essendo ogni uomo parte di una comunità perfetta,
è necessario che la legge riguardi propriamente l'ordine alla felicità comune.
Per cui anche il Filosofo,
nella definizione riferita della legge [cf. s.c.],
accenna sia alla felicità che alla comunità politica.
Infatti egli scrive [Ethic. 5, 1] che
"i rapporti legali vengono considerati giusti
perché costituiscono e conservano la felicità
e ciò che ad essa appartiene, mediante la solidarietà politica".
Infatti la comunità o società perfetta è quella politica,
come insegna ancora Aristotele [Polit. 1, 1].
Ora, in ogni genere di valori
il soggetto perfetto al grado massimo
è principio o causa di quanti ne partecipano,
in modo che questi vengono denominati in rapporto ad esso:
come il fuoco, che è caldo al massimo,
è causa del calore nei corpi misti,
i quali si dicono caldi nella misura in cui partecipano del fuoco.
Perciò è necessario che la legge venga denominata specialmente
in rapporto al bene comune,
dal momento che ogni altro precetto
riguardante questa o quell'azione singola
non riveste natura di legge se non in ordine al bene comune.
Perciò ogni legge è ordinata al bene comune.
S.T. I-II, q. 90, a. 2
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