« Hanno tutti un medesimo soffio, l’uomo, l’animale.
Persino
l’Ecclesiaste lo ammette;
per questo i sapienti hanno voluto censurarlo.
Be’,
ma che cos’è un soffio vitale? Chi formò il soffio vitale?...».
Lo scrittore
I. B. Singer nel racconto Là c’è qualcosa,
con questa battuta che rimanda a Qo
3,19,
evoca la « censura » implicita o esplicita
imposta sul messaggio di
Qohelet dai « sapienti ».
Attorno a questo libretto [...] s’è accesa la battaglia delle interpretazioni
che talora hanno
persino il sapore di censure.
Tutto l’arco possibile dei significati è già
stato coperto:
da libro « ateo » a gioiosa composizione di fiducia!
Cosi, ad
esempio, Sh. Alechem, lo scrittore yiddish [...],
basandosi
sul passo di 3,19, usava Qohelet come manifesto
di un suo personaggio ateo e
scettico:
« Arnold di Pidvorke si prendeva beffe di tutto,
la giustizia divina,
per lui, non esisteva.
La Bibbia dichiara espressamente
- sosteneva Arnold -
che l’uomo non è superiore alla bestia ».
Ma, all’antipodo, la tradizione
liturgica sinagogale
usava Qohelet per la festa delle Capanne:
« Sukkòt
(Capanne) è la stagione della nostra gioia
e il libro di Qohelet loda la gioia
».
Anche nella sua interpretazione Qohelet è,
quindi, un enigma difficilmente
solubile.
[...]
«Qohelet, lo scettico
» (R. Murphy),
«Qohelet deluso dall’esperienza» (A. M. Dubarle),
« Qohelet
contestatore: fratelli, bisogna morire » (A. Maillot),
«Qohelet o che vale la
vita?» (D. Lys),
« Qohelet: mette conto di vivere? » (E. Podechard),
« Qohelet
o il processo della felicità » (E.
Glasser),
« Qohelet e il cinismo disgustato del mondo » (J. T. Walsh),
«
Qohelet, la sentinella critica » (W. Zimmerli),
« Qohelet, teologo insensibile
» (G. von Rad)...
Potremmo allungare per pagine questa lista
di definizioni
negative del nostro sapiente.
È un’interpretazione dalle mille sfumature e dai
diversi accenti,
dalle tonalità accese e dai giudizi più compassati
a seconda
dello spirito e della prospettiva dei vari studiosi.
Il filo comune che lega
queste letture di Qohelet è,
comunque, quello che fa di lui un sapiente
pessimista,
disincantato, un po’ maestro del sospetto,
un po’ rassegnato ed
impotente testimone
della crisi dei
valori sapienziali tradizionali.
Questa linea interpretativa, dominante
ancor oggi tra gli esegeti,
è a nostro avviso la più pertinente,
al di là delle
formule sbrigative o anacronistiche
usate per le definizioni essenziali e
sintetiche.
Ribelle solitario, pensatore eccentrico,
desideroso di una
risposta globale al senso della vita e dell’essere
contro ogni spiegazione
settoriale,
Qohelet è visto come un intellettuale critico che,
pur usando
metodi e strutture della sapienza tradizionale,
ne rivela la radicale
insufficienza.
G. von Rad sente che il Qohelet rappresenta
la forma più «
razionalista » della sapienza:
l’esperienza non è più mantenuta in dialogo con
la fede
né da essa è decifrata,
ora è l’esperienza stessa che si
auto-interpreta
con esiti piuttosto amari.
Ecco, allora, la vita priva di
senso,
ridotta ad hebel vano e fumoso;
ecco la percezione della storia
come una
catena ciclica e deterministica
in cui Dio ci imprigiona;
ecco l’oggettiva
incomprensibilità dell’essere,
del mondo, dell’«opera di Dio».
Si spegne,
così, il dialogo tra Dio e uomo,
tra uomo e uomo e tra uomo e mondo,
essendo i termini del triangolo sapienziale
(Dio, uomo, mondo)
indecifrabili e « in-sensati»,
almeno secondo un progetto
logico.
Pur lasciando aperto lo spiraglio di alcuni beni
che si possono godere
e che sono dono divino,
«Qohelet - scrive ancora G. von Rad -
è incapace di
entrare in conversazione col mondo
che lo circonda e gli si impone.
Esso è
diventato per lui
un mondo estraneo, muto, che lo respinge,
un mondo in cui
egli non può aver fiducia,
a meno che gli offra una pienezza di vita.
Al
contrario, i sapienti erano del parere che,
per mezzo del mondo che interpella
l’uomo,
è Dio stesso che gli parla e che solo in questo dialogo
l’uomo si vede
assegnare un posto nella vita ».
http://ora-et-labora.net/bibbia/ravasi.html
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