mercoledì 6 luglio 2016

disse il Sole al fulmine ...


Come ciascuna cosa ha l'esistenza
in forza della propria forma,
così ogni potenza conoscitiva ha l'atto del conoscere
mediante l'immagine della cosa conosciuta.

Come quindi le realtà naturali
non possono perdere l'essere che hanno in forza della loro forma,
ma possono perdere certe qualità accidentali o complementari

- p. es. l'uomo potrà non avere più i due piedi,
ma non cessare di essere uomo -,

così la potenza conoscitiva non potrà mai venir meno 
nella conoscenza relativamente all'oggetto 
dalla cui immagine è informata,
ma lo potrà rispetto a quei dati 
che lo accompagnano o gli si aggiungono.

Così la vista, come già vedemmo [a. prec.],
non si inganna circa il sensibile proprio,
ma si può ingannare circa i sensibili comuni,
a quello connessi, e circa i sensibili impropri.

Ora, come i sensi sono informati
direttamente dall'immagine dei sensibili propri,
così l'intelletto è attuato direttamente
dall'immagine dell'essenza della cosa.

Quindi l'intelletto non può errare
relativamente all'essenza delle cose,
come neanche i sensi rispetto ai sensibili propri.

Invece nell'unire o nel separare [tra loro] dei concetti
può ingannarsi quando attribuisce all'oggetto,
di cui conosce la natura, qualcosa che è ad esso estraneo,
o addirittura opposto.

Infatti l'intelletto, nel giudicare di tali cose,
si trova come i sensi quando giudicano
dei sensibili comuni o di quelli impropri.

Vi è tuttavia una differenza:
come sopra [q. 16, a. 2] si è detto a proposito della verità,
il falso si può trovare nell'intelletto
non solo perché la conoscenza dell'intelletto è falsa,
ma perché l'intelletto conosce tale falsità,
come conosce anche la verità;

nei sensi invece il falso
non si trova in quanto conosciuto,
come si è detto [a. prec.].

Poiché dunque la falsità si trova propriamente nell'intelletto
solo quando questo unisce dei concetti [nel giudizio],
essa può trovarsi accidentalmente
anche nella semplice apprensione,
mediante la quale l'intelletto conosce le essenze,
quando vi si nascondono delle composizioni di concetti.

E ciò può avvenire in due modi:

o perché l'intelletto attribuisce a una cosa
la definizione di un'altra,
p. es. se attribuisce all'uomo la definizione del cerchio,
e in questo caso la definizione di una cosa
diventa falsa se applicata a un'altra;

oppure perché in una definizione unisce delle parti
che non possono stare insieme:
e in tal caso la definizione è falsa
non solo relativamente a quella data cosa,
ma in se stessa.

Quando, p. es., l'intelletto forma questa definizione:
animale razionale quadrupede, nel definire così è falso,
poiché è falso quando esprime [in un giudizio]
questa unione di concetti:
un certo animale razionale è quadrupede.

Per cui quando si tratta di conoscere
delle quiddità o nature semplici l'intelletto
non può essere falso, ma o è vero,
oppure non conosce assolutamente nulla.

Soluzione delle difficoltà:

1. L'oggetto proprio dell'intelletto è la quiddità o essenza delle cose:
quindi, a rigore, diciamo di conoscere una data cosa
solo quando giudichiamo di essa
riportandoci alla sua essenza o natura,
come accade nelle dimostrazioni fatte senza alcun errore.

Ed è in quest'ultimo senso che va inteso il detto di S. Agostino che
"chi sbaglia non ha conoscenza della cosa in cui sbaglia",
non nel senso che non si possa sbagliare
in nessuna operazione della mente.

2. Come l'intelletto non subisce inganno 
circa la natura delle cose così, per la stessa ragione, 
è sempre retto relativamente ai primi princìpi.

Infatti i princìpi di per sé evidenti sono quelli 
che vengono conosciuti non appena ne abbiamo compresi i termini, 
dato che il loro predicato è incluso 
nella definizione del soggetto.

San Tommaso d'Aquino, Somma Teologica, I, q. 17, a. 3

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