sabato 2 luglio 2016

guerra per la pace e il nemico interiore

Perché una guerra sia giusta si richiedono tre cose. 

Primo, l'autorità del principe, 
per ordine del quale la guerra deve essere proclamata.
Infatti una persona privata non ha il potere di fare la guerra: 
poiché essa può difendere il proprio diritto 
ricorrendo al giudizio del suo superiore.
E anche perché non appartiene a una persona privata 
il raccogliere la moltitudine, cosa indispensabile nelle guerre.

Siccome invece
la cura della cosa pubblica è riservata ai principi, 
spetta ad essi difendere il bene pubblico della città, 
del regno o della provincia a cui presiedono.

E come lo difendono lecitamente con la spada 
contro i perturbaturi interni quando puniscono i malfattori, 
secondo le parole dell'Apostolo [Rm 13, 4]: 
"Non invano l'autorità porta la spada: 
è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male"
così spetta ad essi difendere lo stato 
dai nemici esterni con la spada della guerra.

Per cui ai principi viene anche detto nei Salmi [81, 4]: 
"Salvate il debole e l'indigente, liberatelo dalle mani dell'empio"

Per cui S. Agostino [Contra Faustum 22, 75] scrive: 
"L'ordine naturale, adattato alla pace dei mortali, 
esige che risieda presso i principi l'autorità 
e la deliberazione di ricorrere alla guerra".

Secondo, si richiede una causa giusta: 
cioè una colpa da parte di coloro contro cui si fa la guerra. 

Scrive perciò S. Agostino [Quaest. in Iosue 10]: 

"Si sogliono definire giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie: 
cioè nel caso in cui si tratti di debellare un popolo 
o una città che hanno trascurato di punire i delitti dei loro sudditi, 
o di restituire ciò che era stato tolto ingiustamente".

Terzo, si richiede che l'intenzione di chi combatte sia retta: 
cioè che si miri a promuovere il bene e a evitare il male.
Per cui scrive ancora S. Agostino [De civ. Dei 19, 12]: 
"Presso i veri adoratori di Dio sono pacifiche anche le guerre
che vengono fatte non per cupidigia o per crudeltà, 
ma per amore della pace, 
ossia per reprimere i malvagi e soccorrere i buoni".

Può infatti capitare che, pur essendo giusta la causa 
e legittima l'autorità di chi dichiara la guerra, 
tuttavia la guerra sia resa illecita da una cattiva intenzione.

Dice perciò S. Agostino [Contra Faustum 22, 74]: 
"La brama di nuocere, la crudeltà nel vendicarsi, 
lo sdegno implacabile, la ferocia nel guerreggiare, 
la smania di sopraffare e altre cose del genere 
sono giustamente riprovate nella guerra". 

Soluzione delle difficoltà: 
1. Come dice S. Agostino [Contra Faustum 22, 70], 
"prende la spada colui che si arma 
per versare il sangue di qualcuno senza il comando 
o il permesso di alcun potere superiore o legittimo".

Chi invece usa la spada con l'autorità del principe o del giudice, 
se è una persona privata, oppure per zelo della giustizia 
e quindi con l'autorità di Dio, se è una persona pubblica, 
non prende da se stesso la spada, ma ne usa per incarico di altri.

Quindi non merita una pena.

Tuttavia anche quelli che usano la spada 
in modo peccaminoso non sempre sono uccisi di spada.
Essi però periscono sempre per la loro spada: 
perché se non si pentono 
sono puniti del peccato di spada per tutta l'eternità.

2. Come nota S. Agostino 
[De Serm. Dom. in monte 1, 19], 
tali precetti devono essere osservati sempre con le disposizioni interne: 
in modo cioè che uno sia sempre disposto a non resistere 
o a non difendersi quando ciò fosse doveroso. 
Ma talora bisogna agire diversamente per il bene comune, 
e per il bene stesso di quelli contro cui si combatte. 

S. Agostino [Epist. 137, 2] infatti scriveva: 
"Spesso bisogna adoperarsi non poco presso gli avversari 
per piegarli con benevola asprezza. 
Infatti per colui al quale viene tolta la libertà di peccare 
è un bene essere sconfitto: 
poiché nulla è più infelice della felicità di chi pecca, 
la quale accresce un'iniquità degna di pena, 
mentre la cattiva volontà si rafforza come un nemico interiore".

3. Quelli che fanno delle guerre giuste hanno di mira la pace. 
Essi perciò sono contrari solo alla pace cattiva, 
che il Signore "non è venuto a portare sulla terra", 
come dice il Vangelo [Mt 10, 34]. 

Per cui scriveva S. Agostino a Bonifacio [Epist. 189]: 
"Non si cerca la pace per fare la guerra, 
ma si fa la guerra per avere la pace.
Sii dunque pacifico nel guerreggiare, 
per indurre con la vittoria al bene della pace coloro che devi combattere".

4. Non tutti gli esercizi di guerra sono proibiti, 
ma solo quelli disordinati e pericolosi, 
che portano a uccidere e a depredare. 

Ora, presso gli antichi le esercitazioni di guerra erano scevre da questi pericoli: 
perciò esse venivano chiamate "preparazioni di armi", 
oppure "guerre incruente", 
come risulta da San Girolamo in una delle sue lettere.

San Tommaso d'Aquino, Somma Teologica, II-II, q. 40, a.1

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