Perché l’atto di una facoltà inferiore sia perfetto
si richiede la perfezione non soltanto nelle facoltà superiori,
ma anche in quelle inferiori:
infatti, anche se l’agente principale è debitamente disposto,
non può seguirne un’azione perfetta
se manca la buona disposizione dello strumento.
Ora, affinché l’uomo operi il bene
rispetto alle cose ordinate al fine,
è necessario che abbia non solo la virtù
che lo dispone bene riguardo al fine stesso,
ma anche le virtù atte a ben disporlo alle azioni ordinate al fine:
poiché la virtù che ha per oggetto il fine
è come principale e movente rispetto a quelle che sono ordinate al fine.
Perciò assieme alla carità
è necessario avere anche le altre virtù morali.
Capita talvolta, per una difficoltà nata dall’esterno,
che chi possiede un abito provi difficoltà nell’operare,
e quindi non senta piacere e compiacimento nell’atto:
è il caso p. es. di chi, avendo l’abito della scienza,
per la sonnolenza o per una infermità
prova difficoltà nell’intendere.
E allo stesso modo talora gli abiti delle virtù morali infuse
risentono una certa difficoltà nell’operare
a causa di certe disposizioni contrarie lasciate dagli atti precedenti.
Difficoltà che invece non si riscontra
allo stesso modo nelle virtù morali acquisite:
poiché mediante l’esercizio degli atti con cui queste vengono acquisite
vengono anche tolte le disposizioni contrarie.
Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù
a motivo delle difficoltà che provano nei corrispettivi atti,
per il motivo indicato sopra;
sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù.
San Tommaso d'Aquino, Somma Teologica, I-II, q. 65, a. 3
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