domenica 5 giugno 2016

sensualità: profumo dell'anima


Il termine sensualità, di cui parla S. Agostino 
[De Trin. 12, cc. 12, 13], 
deriva dal moto dei sensi nel modo in cui il nome di una potenza
viene desunto dal suo atto, come la vista dal vedere. 

Ora, i moti del senso sono le appetizioni 
che seguono la conoscenza sensitiva. 

Infatti l‘atto della virtù conoscitiva 
non viene detto moto in maniera così propria come quello dell‘appetito: 
poiché le operazioni delle facoltà conoscitive si compiono 
in quanto le cose conosciute restano nel conoscente, 
mentre le operazioni delle facoltà appetitive 
si compiono col tendere dell‘appetente verso la cosa appetibile. 

E per questa ragione l‘operazione della potenza conoscitiva 
viene paragonata alla quiete, 
mentre quella della potenza appetitiva 
è più simile al moto. 

Parlando quindi di moti della sensibilità 
intendiamo le operazioni della facoltà appetitiva. 
Quindi il termine sensualità non è altro 
che il nome dell‘appetito sensitivo.

Quando S. Agostino scrive che il moto della sensualità 
si protende verso i sensi del corpo 
non intende dire che i sensi del corpo fanno parte della sensualità, 
ma piuttosto che quel moto è una tendenza verso i sensi del corpo, 
ossia che è un‘appetizione di quelle cose 
che sono percepite dai sensi. 

Quindi i sensi appartengono alla sensualità come suoi prerequisiti.

La sensualità rientra in un‘unica divisione 
con la ragione superiore e con quella inferiore 
in quanto vi è in comune l‘attitudine a muovere. 

Infatti la facoltà conoscitiva, 
alla quale appartengono la ragione superiore e quella inferiore, 
è principio di moto come l‘appetitiva, di cui fa parte la sensualità.

Il serpente non solo mostrò e propose il peccato [ai nostri progenitori], 
ma li spinse a compierlo. 

E la sensualità viene simboleggiata 
dal serpente proprio per questo.

San Tommaso d'Aquino, Somma Teologica, I, q. 81, a. 1

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